Se tutto va secondo i pronostici
I popolari potrebbe usare un’eventuale sconfitta in Catalogna per un’attacco diretto al Governo centrale di Madrid.
Un piccolo angolo di razionalità repubblicana
Se tutto va secondo i pronostici
I popolari potrebbe usare un’eventuale sconfitta in Catalogna per un’attacco diretto al Governo centrale di Madrid.
Prodi sembra smentire quello che dicevano noi qui pochi giorni fa. A sentire il premier una riunione ha spazzato via tutti i problemi per un eventuale approdo unitario.
Quindi il Professore ha risolto:
Siamo felici per Prodi, ma con tutto il rispetto non ci crediamo…
Le tasse di sprecano. E’ di oggi notizia che la tanto vituperata tassa sui Suv viene abolita in cambio di un superbollo sulle auto superiori ai 100 kilowatt. Questo dice Visco, per “ benefici in favore degli over 75, e in particolare per i quali dovrebbe essere innalzata la no tax area, cioè la fascia di reddito in cui non si pagano tasse, da
Sono previste inoltre aumenti di prelievo dal 6 al 10 % sulle vincite del Lotto, mentre la commissione trasporti ha suggerito di aumentare di 3 centesimi la tassa d’imbarco sugli aerei. I Ds propongono una nuova tassa alberghiera.
Insomma, in Italia, la prima Finanziaria del governo Prodi è sinonimo di tasse.
Ogni giorno c’è un ping pong mediatico tra i giornali e le tv per intercettare nuove notizie riguardanti il decreto fiscale presentato in Parlamento e ogni emendamento mette al cittadino un senso di brivido per l’ennesimo esproprio ai suoi danni. I propositi di crescita di Prodi sono ambiziosi. Si è detto che entro due anni si vorrebbe puntare su un 2 – 3% costante di crescita.
Ma è giusto fare pagare un fantomatico e lontano rapporto deficit / Pil alle tasche, quelle si vicine, dei cittadini? Tutti gli esponenti del Governo di preoccupano di parlare di equità, di far pagare a tutti nessuno escluso le tasse, e solo da quel momento si potrà poi procedere, secondo loro, a un’abbassamento graduale del prelievo fiscale. La gente però, dopo appena due mesi di discussioni, è stufa di vedersi letteralmente “rubare” i proprio guadagni in nome di un’uguaglianza che mal stona con la dura e cruda realtà dei fatti.
La realtà è che una persona media, non soggiogata da facili ideologismi, vorrebbe che al posto di aumentare la pressione fiscale, il Governo tagliasse tutte quelle spese che rendono il nostro Paese ingessato e burocratizzato da una pubblica amministrazione intrisa di inefficienza e fannulloni. Vi ricordate quando l’ex ministro Lucio Stanca propose di recuperare un miliardo di euro di gettito solo da un taglio agli sprechi di cancelleria?
E’ giusto che tutti paghino la spesa sanitaria e ci sia poi gente che debba pagare le cliniche private perché più efficienti,e altri che non si possono permettere neanche il ticket nel servizio pubblico?
E’ giusto che in nome di un’utopico “diritto dei lavoratori”, la gente vada in pensione a 55 anni e cominci a lavorare a 30, pretendendo un sistema di protezione sociale che lo tuteli fino alla morte?
Prodi non pensa che sarebbe meglio cominciare a parlare di tagli, anziché di nuove entrate?
Perché l’individuo onesto, che lavora e paga già tantissime tasse, deve intervenire a fronte di una mancanza di coraggio politico di un Governo nelle mani di sindacati e delle sue correnti più conservatrici?
La prova di forza coreana quindi, con il lancio prima di missili atomici nel pacifico,e dopo di un test atomico ( con tanti ma ) sotterraneo sul proprio territorio,era quindi solo un deterrente per riprendere i colloqui?
In una prima lettura sembra che il regime abbia mostrato infatti i muscoli, ben conscia del fatto che prima o poi una ripresa del rapporto multilaterale ci sarebbe stato. E’ chiaro che ora Pyongyang ha dalla sua un test all’apparenza riuscito, e che quindi può sfruttare questa situazione, pretendendo più concessioni davanti agli altri protagonisti della partita.
Per ora c’è anche da registrare comunque un successo della diplomazia cinese, riuscita, anche facendo la voce grossa, a sovrapporsi tra l’amministrazione Bush e Kim jong Il.
Proprio
La prova di forza coreana quindi, con il lancio prima di missili atomici nel pacifico,e dopo di un test atomico ( con tanti ma ) sotterraneo sul proprio territorio,era quindi solo un deterrente per riprendere i colloqui?
In una prima lettura sembra che il regime abbia mostrato infatti i muscoli, ben conscia del fatto che prima o poi una ripresa del rapporto multilaterale ci sarebbe stato. E’ chiaro che ora Pyongyang ha dalla sua un test all’apparenza riuscito, e che quindi può sfruttare questa situazione, pretendendo più concessioni davanti agli altri protagonisti della partita.
Per ora c’è anche da registrare comunque un successo della diplomazia cinese, riuscita, anche facendo la voce grossa, a sovrapporsi tra l’amministrazione Bush e Kim jong Il.
Proprio
Silvio Berlusconi, molti autorevoli bloggers, e tanti simpatizzanti del centro-destra, in attesa che il Governo Prodi cada, parlano già di “grande coalizione”. Male minore si dice. Meglio del Governo post-democristiano-comunista come quello attuale.
Ma siamo gli unici che guardiamo con sfavore a un esecutivo di larghe intese? Che crediamo nel bipolarismo duro e puro? Che speriamo che Prodi cada con le sue mani, e che al suo posto torni una maggioranza moderata e liberale?
Il Governo attuale è in una situazione non facile, ma per carità, non facciamoci prendere dalla “politica dell’inciucio”. Una sana alternanza politica è l’unica via “seria”, anche in un Paese poco “serio” come il nostro. ( spionaggi inclusi).
“Scegliamo di andare avanti” è uno slogan a noi conosciuto. Non vorremmo si tornasse indietro invece.
A risentirci..
Ogni tanto riprenderemo la campagna iniziato una settimana fa che vede Natan Sharansky, come unico idea possibile per un cambiamento alla presidenza dello Stato di Israele.
Meglio muoversi in anticipo..
A risentirci..
Napolitano, un presidente realisticamente corretto…
Concordiamo in pieno con l’analisi del comunista “che non mangia i bambini”.
D’altronde noi ne avevamo parlato giorni fa qui e Perla qui.
Prodi è d’accordo?
Prodi è permaloso. D’Alema lo esplicita chiaramente. Fassino cerca, per ora, di tamponare l’insofferenza diessina verso il professore. In questi giorni di fuoco per una finanziaria ancora ostaggio di veti incrociati nella maggioranza, sembra svanire quel rapporto idilliaco instauratosi in questi ultimi mesi (anni) tra Romano Prodi e i Ds.
Tutti ricordiamo, nel punto più alto dell’alleanza tra i post-comunisti e l’ex manager dell’Iri, quando prima delle elezioni politiche di Aprile , Prodi rispondeva così a chi gli chiedeva chi avrebbe lui stesso votato : “Non lo so. Decido il partito in base a un calcolo squisitamente politico”. Segno evidente questo, di un malessere che a quel tempo albeggiava tra l’attuale premier e il suo partito di origine, in polemica col trio Rutelli-De Mita-Marini. Ora la situazione è cambiata radicalmente.
Non è tanto il rapporto con i singoli esponenti del partito diessino che preme rilevare, non a caso in questi anni i colloqui “sereni” con D’Alema si contano su una mano, ma una situazione divenuta afosa in merito a obbiettivi partitici e programmi di Governo.
Partito Democratico.
Il punto è chiaro a tutti : il problema si gioca in Europa. Gli esponenti diessini è da mesi che ripetono che un’eventuale unione con
Programma di Governo.
La partita forse è qui più complessa che quella del punto precedente. All’interno del Governo e della maggioranza parlamentare sembra aver preso vigore un’inedita alleanza sinistra radicale-Prodi- Padoa Schioppa che mette ovviamente in secondo piano i Ds.
In questi giorni poi, le voci più critiche alla Finanziaria, sono tutte di marca Ds: Bersani la definisce “non coraggiosa”. Nicola Rossi, si chiede se “esiste ancora una sinistra liberale nel Paese”. Enrico Morando, presidente della commissione Bilancio al Senato, dice di “smetterla di puntare sulle tasse”.
Insomma, Prodi sembra, per ora lasciare da parte le istanze degli esponenti più fieramente riformisti, preferendo una strada, sicuramente meno “pericolosa” per il consenso politico, anche se sono di questi giorni i sondaggi di opinione che vogliono una Cdl in vantaggio di 10-15 % rispetto all’Unione.
Cosa fara Prodi?
Ieri Prodi si è lamentato che non “può essere il premier per tutte le stagioni”. Sintomo evidente di un malessere che regna nel Governo, ma che soprattutto sottolinea come il premier sia stufo di ricevere punzecchiature da tutte le componenti della maggioranza. Dietro il “tutte le stagioni” si intravede bene però un chiaro messaggio politico, anche in questo caso rivolto ai Ds. Sono loro gli scontenti, tanto è vero che anche la voce istituzionale per eccellenza dei Ds, il presidente della repubblica Giorgio Napolitano, ha auspicato un “impegno comune” in nome di scelte coraggiose. Si profilano le breve periodo due linee : quella oltranzista e decisa allo scontro del ministro degli esteri Massimo D’Alema, e quella dei tessitori, capitanati dal segretario Ds, Fassino. Per ora sembra comunque prevalere la seconda linea, ma fino a quando i Ds saranno capaci di subire le gaffe del Professore?
Interessante sondaggio sulle elezioni di mid-term su tutti temi di politica interna e estera..Ci avviciniamo all’election day un po’ scettici però..
Anche i rettori delle università italiane protestano col Governo per i tagli alla ricerca e allo sviluppo. E’ vero che il meccanismo pubblico universitario ha i suoi problemi, e il drenaggio della spesa non è purtroppo semplice da gestire, ma arrivare a tartassare le già “povere” università statali vuol dire autentico “masochismo politico”.
Da tempo crediamo che la soluzione migliore sia alla fonte, e cioè trasformare le università da pubbliche in fondazioni. Ci sarebbe comunque da approfondire.
Qui ci chiediamo: ma con tutto l’esorbitante muscolo burocratico che muove la nostra pubblica amministrazione proprio all’università bisogna tagliare? Come mai al contrario si procede ad aumentare per l’ennesima volta i contratti nel pubblico impiego, e favorire con leggi ad hoc gli impiegati comunali e regionali, non distinguendo tra meritevoli e fannulloni?
L’incongruenza di certe proposte è a volte devastante..
Il velino ci porta su un tema fuori dalle cronache dei giornali di questi giorni di finanziaria. La situazione in Palestina, dopo l’annuncio giorni fa, di un possibile incontro tra il premier Olmert e il presidente dell’Olp Abu Mazen, è gravemente precipitata per un irrigidirsi delle posizioni di Hamas. Come era prevedibile c’è stato il temuto effetto a catena della guerra in Libano.
Hamas, sta facendo la voce grossa dopo le recenti non brillanti performance dell’esercito israeliano in Libano, ed è per questo che sta tirando più del dovuto la corda. Hezbollah, agli occhi della brigate Al-Qassan, braccio armato di Hamas, rappresentano un modello da seguire per imbastire una somossa in Cisgiordania, dopo lo sgombero in buona parte della Striscia di Gaza. Il solo ostacolo ad Hamas per ora è interno.
Infatti in Cisgiordania, soprattutto nella zona di Hebron e Jericho da farla da padrone sono gli uomini di Al-Fatah. Proprio le brigate dei martiri di Al-Aqsa, braccio armato del partito vicino al presidente, fatalmente tengono viva la speranza che in Palestina non si cadi nell’più assoluto odio verso Israele.
Forse, il governo, in un ruolo chiave come quello geo-politico ha preferito optare per una soluzione “forte”, fiera della visione del”grande Israele”.
Olmert ha poco tempo per vedere cosa fare. Il radicalismo giganteggia in terra santa e di certo i continui proclami “atomici” di Ahmadinejad non aiutano.
In queste ore il tema caldo ritorna ad essere
Il ministro Visco dice che la manovra, secondo lui, è perfetta, ma è incomprensibile ( a noi ci sembra di averla abbastanza capita), e su quanto detto prima aggiunge che l'emendamento sulla curva Irpef conterrà solo «piccole correzioni», ma senza cambiare «il senso dell’operazione». Visco ha anche aggiunto che «sta aspettando la convocazione della commissione Bilancio per illustrare l’emendamento».
Ora vengono da sé alcune riflessioni. La rimodulazione Irpef già presente in finanziaria è stata nuovamente condita con un altro aggravio di aliquote per le fasce più alte di reddito.
L’esecutivo continua a piccoli passi sulla strada del rialzo delle tasse, dopo che nei 5 anni precedenti si era assistito a una leggere riduzione delle aliquote e un conseguente abbassamento di pressione fiscale di 1,5%. Il fatto di essere tranquilli perché non sono previste altre variazioni non fa passare notti tranquille a tutte quelle persone che credono che l’arma delle tasse non sia quella giusta per fare crescere il Paese. Testimonia il fatto che in una fase comunque di crescita, anche se estremamente debole, sarebbe auspicabile da un esecutivo che mettesse al primo posto l’individuo, rilanciando i consumi lasciando una quantità di reddito più elevata nelle già corte tasche dei cittadini. E’ allarmante il fatto che si dica inoltre che agire sulle entrate non sempre è positivo per il Pil ( Pennacchi), ma che poi non si opti neanche per un taglio drastico di spesa corrente. In particolare nella sanità e nel sistema pensionistico siamo sempre alle solite: sentiamo sempre promesse future e “giochini” mediatici come la tanto decantata opzione di destinare la quota del Tfr all’inps. Tanto fumo e niente arrosto per sviare i problemi veri del Paese. Tra l’altro i settori a cui si faceva riferimento precedentemente sono del tutto iniqui soprattutto per i ceti meno abbienti, che dovrebbero essere le fasce più tutelate da un esecutivo progressista.
Si spera che le piccole “manovre” del Governo finiscano, e che l’accoppiata Padoa Schioppa - Visco si concentri sugli sprechi statali lasciando in pace i cittadini.
Dario Di Vico sul Corriere di oggi invita a riflettere sul declassamento avuto ieri dall’Italia dalle agenzie di rating internazionale. Essere sullo stesso piano ,in quanto ad affidabilità, del Botswana non è un bell’andare. Anche se sinceramente scappa abbastanza da ridere….
Viene da se un’analisi dell’attuale esecutivo. Tutti gli analisti ci dicono che un governo notoriamente realizzi le opere migliori del proprio mandato nei primi mesi di legislatura, perché “libero” da pressioni di gruppi d’interesse ed eventuali lobby “mangiasoldi”. Ne prendiamo atto, perchè se in questi primi mesi del Governo Prodi si sono consumate le scelte “migliori” , allora attendiamo con una sorta di formicolio interno-budellare i prossimi mesi ( anni??!?).... Da paura..
Continua poi il valzer di editorialisti “speranzosi”, alla Michele Salvati.
Ieri notavamo qui che tali autorevoli personaggi nutrono comunque grande speranza per le scelte future dell’Esecutivo, ben consci di avere capito gli eventuali errori passati e di presente.
Come dire..”La speranza è l’ultima a morire”…
Beati loro!
Declassamento delle agenzie di Rating per l’Italia.
Eppure metà Italia più uno ( Francesco Giavazzi) lo avevano detto a Prodi di tagliare la spesa pubblica corrente.
Politici testardi…
Dopo la visita del premier Romani Prodi in Spagna e l’intervista al Corriere di Zapatero, il tema centrale è il modello iberico come paragone al sistema italiano.
Michele Salvati, in un editoriale di oggi chiama in causa l’interesse nazionale e come nonostante le differenze tra popolari e socialisti, all’esterno l’immagine spagnola è unita, con un unico obbiettivo : la crescita economica. Salvati si chiede poi come mai da noi non sia così e domini la demagogia politica, sottolineando comunque che l’economia non è tutto, in un “miracolo” come quello spagnolo.
A parte le contestazioni alla politica di Zapatero in Spagna, e gli eventuali meriti della sua azione, il problema è come al solito italiano.
Che piaccia o no, sta attuando le riforme.
Ricordiamo che la sua vittoria comunque contro Aznar è scaturita solo dagli attentati di Madrid e che se il terrorismo islamico non avesse colpito, probabilmente i popolari sarebbero ancora al Governo. Paradossale è poi che probabilmente il punto più basso della politica del partito socialista sia stato il ritiro unilaterale delle truppe del Re dall’Iraq. Tutto questo nei giorni successivi alla data delle elezioni.
Salvati vede con orgoglio all’interesse nazionale spagnolo, ma come si fa a chiedere o a sperare che capiti la stessa cosa in Italia?
Un corporativismo asfissiante domina il tessuto economico del nostro Paese. Una maggioranza talmente eterogenea al Governo che un colpo di vento può fare cadere all’istante, e una politica clientelare che porta sempre a non analizzare mai i veri problemi del Paese sono gli assi che giochiamo rispetto agli altri Paesi che con noi si contendono la leadership Europea.
Si discute della Gregoraci, delle tessere false della Margherita, di come dare più rappresentanza a Rifondazione al Governo, e udite udite , al compleanno di Cossutta dove non è invitato nemmeno un’esponente del PdCI. Ma di come liberalizzare il mercato del lavoro, di come far si che i giovani non siano vecchi a trent’anni non se ne parla.
Per questo che l’Italia, con le sue sfumature banali e demagogiche non può ambire almeno per ora, a quell’interesse nazionale che tanto piace nei sogni di Salvati.
A risentirci.
Natan Sharansky potrebbe essere uno dei candidati possibili alla successione di Moshe Katsav, attuale presidente di Israele e travolto recentemente dagli scandali a luci rosse.
Altri possibili nomi che si fanno sono tutti di spicco come il letterato Amos Oz, o lo storico Elie Wiesel. Noi però facciamo il tifo per l’appena dimissionario dalla Knesset, ebreo e nato in Ucraina, Natan Sharansky.
Ex ministro per la diaspora, Sharansky è un personaggio scomodo: una vita dedicata alla Politica nel senso alto del termine, spesa a difesa dei diritti umani tanto calpestati nella sua terra di origine,
Noi, poveri liberali con il gusto per chi difende le libertà di essere, di credere e di apparire, siamo in attesa di una petizione per Sharansky presidente.
A risentirci.
Da settimane ormai l’attuale opposizione è in crisi d’identità. Alla mancanza di Berlusconi sulla scena politica si è aggiunto ormai da diversi giorni uno smarcamento continuo dell’Udc e una certa insofferenza da parte di settori di Alleanza Nazionale. C’è inoltre da registrare un dissenso totale della Lega sull’attuale impalcatura della Cdl con la facoltà per il futuro di avere “mani libere” come ha ripetuto Bossi alla tradizionale festa del partito a Venezia. Nel “tutti contro tutti” all’interno del centro-destra, la parte del leone la fa sicuramente Casini. Il partito (post) – democristiano sembra quello che meglio riesce a innescare la polemica con una differenza netta rispetto agli altri partiti della coalizione. L’attacco è rivolto a Berlusconi, in prima persona, più che al partito che rappresenta. Riconoscendo all’attuale leader dell’opposizione una grande tenuta durante tutta la campagna elettorale, sembrava fosse scritto che in caso di sconfitta , si dovesse per forza rimettere in gioco la leadership della Cdl, non curandosi minimamente che in termini prettamente numerici più della metà degli italiani hanno comunque votato per il centro-destra. Casini anche ieri ha ripetuto che “Berlusconi ha ragione quando dice che il nostro popolo vuole unità ma anche nel centrodestra ci sono impostazioni diverse» aggiungendo che“noi non accetteremo di doverci giustificare perché questo partito è stato messo da qualche cialtrone sul banco degli imputati. Non mi riferisco ai capi ma a quella gente che dà aria ai denti senza pensare. Noi saremo durissimi con il governo su quello con cui non siamo d'accordo. Però se una cosa è giusta, io dico che è giusta. Più mi intimidiscono e più sarò duro perché io non faccio parte di quella classe dirigente che non si chiede cosa è giusto ma cosa ha detto Berlusconi».
Il punto fondamentale degli affondi del leader dell’Udc è però un altro e riguarda l’assetto strategico che si deve dare per il futuro
A nostro avviso la creazione di un partito unico dei moderati all’interno della stessa Udc è opinabile per due ordini di motivi.
La prima obiezione è a nostro avviso strategica. Se come dice Casini, l’Udc vuole comunque essere “un’opposizione alla sinistra” non si capisce come possa pensare di presentarsi da sola alle prossime elezioni. L’eventuale partito dei moderati, seppur come auspica Casini, al 15%, sarebbe comunque in svantaggio rispetto alla solita “armata brancaleone” del centro-sinistra. Tale formazione, a nostro avviso non potrebbe che correre da sola perché difficilmente Berlusconi Fini e Bossi accetterebbero di concorrere assieme a una nuova formazione priva di identità radicata e che potrebbe erodere il consenso attorno agli altri tre partiti della coalizione. La dottrina ci insegna che un partito che cambia nome difficilmente riesce ad attrarre consenso, se non cambia la propria cultura politica all’interno.
La seconda obiezione è legata alla prima ed è culturale. La realizzazione di un partito unico dei moderati deve necessariamente essere un contenitore che rappresenti tutte le anime alternative alla sinistra, in tutti i suoi aspetti : culturali, politiche ed economiche. Viene da sé che al partito dei moderati non può mancare la vocazione liberale liberista di Forza Italia, le spinte di una destra conservatrice come An, e neanche le istanze popolari del Nord produttivo rappresentate dalla Lega Nord.
Un serbatoio della metà dei voti del Paese, e metà Senato della Repubblica non possono venire disperse per battaglie “ di nomi” all’interno di una coalizione, perché ciò non farebbe che creare un’ulteriore distacco della gente dalla politica, spaesata e dubbiosa, che accrescerebbe la sempre più ampia forbice degli astenuti alle politiche.
Rispetto a tante altre uscite dell’attuale segretario o del recente passato, questa volta l’Udc sembra abbastanza compatto
La voce fuori dal coro è però come al solito l’ex ministro dei rapporti col Parlamento Carlo Giovanardi che a Fiuggi ha ribadito che “non possiamo essere sui giornali tutti i giorni soltanto per le polemiche interne al centrodestra. «Bisogna fugare i troppi dubbi seminati tra iscritti, simpatizzanti ed elettori che ci chiedono un'opposizione rigorosa. Le fughe in avanti stanno diventando troppe».
L’Onu come già detto premia l’Italia. Sono però opportune alcune precisazioni che sembrano essere sfuggite ai nostro uomini politici e soprattutto dell’attuale Governo in carica.
Il seggio al consiglio di sicurezza è stato salutato dal premier in questi termini :” E' un fatto e un risultato unico che riconosce la politica internazionale positiva portata avanti dal nostro Paese. E' una grande soddisfazione per l'Italia, un riconoscimento globale alla nostra politica estera del nostro Governo''. Il premier ha rivolto quindi ''un caloroso ringraziamento a quanti hanno lavorato per raggiungere questo risultato'', in particolare al nostro ambasciatore all'Onu e a tutti i suoi collaboratori. Il ministro degli esteri Massimo D’Alema rincara la dose: ''ci sprona a favorire una riforma delle Nazioni Unite in senso democratico, rappresentativo e consensuale'' e ''testimonia la stima, la considerazione e la simpatia di cui godiamo in seno alle Nazioni Unite e sulla scena internazionale''.
Se prendiamo poi le pagine a sei colonne di tutti i giornali che gravitano in quell’area “amica” dell’attuale esecutivo, allora si capisce bene come il Governo attuale abbia beneficiato più del dovuto, sia a livello politico che mediatico, del premio recapitato dal Palazzo di vetro di New York.
Se da una parte è evidente che in una situazione come questa non si possa pretendere che i responsabili della nostra politica estera non esultino, per un risultato comunque rilevante sotto tutti i punti di vista, appare però eccessivo, soprattutto davanti all’opinione pubblica equiparare l’Italia all’esecutivo di Romani Prodi. Il” premiare” l’Italia è la sintesi di un percorso iniziato 10 anni fa che ci è valsa la reputazione di “Nazione impegnata” ( R.Kagan). Abbiamo affrontato con la schiena dritta i vari fallimenti europei, rispondendo comunque alle esigenze comunitarie in modo egregio durante il semestre di presidenza di turno dell’UE.
Il motivo di un voto così plebiscitario all’Assemblea delle Nazioni Unite è comunque la grande relazione istauratasi negli ultimi anni con gli alleati americani. L’amministrazione Bush, riconoscendo gli sforzi fatti in Afghanistan per sostenere prima la risoluzione Onu e poi
L’attuale esecutivo, sulla scia del grande risalto internazionale già conseguito negli anni precendenti, ha indubbiamente affrontato la vicenda Libano con un pragmatismo non indifferente, peccando forse per rapidità, ma con un ritorno politico comunque di ampio raggio. Si è riusciti a catalizzare la simpatia soprattutto tra i “paesi non allineati” e tra i banchi degli Stati arabi più moderati, come il Qatar e
I perché di un consenso così ampio all’Italia sono quindi facilmente intuibili. Come già detto, è un percorso nel tempo e fatto di numerose tappe.
Spiace che ci si attribuiscano meriti personali intrisi di troppa demagogia.
L’Italia per la sesta volta è nel consiglio di sicurezza dell’Onu come membro non permanente. Attribuire meriti a questo o a quel Governo ci pare fuoriviante essendo dal 2003 che si paventava un’ipotesi del genere al palazzo di vetro di New York. Ci presentiamo come il Paese europeo con più mandati al consiglio davanti anche a Germania, Spagna e Olanda.
Speriamo in questi due anni di mandato di contribuire al meglio alla crescita di un “malato cronico” ( ma non ancora terminale, come le Nazioni Unite, e di fare valere la nostra presenza nel mondo come terza potenza, in quanto a numero di soldati schierati, dopo
Per concludere, il ministro per le politiche comunitarie, Emma Bonino, propone un seggio permanente per l’Unione Europea, azzardando però come “ irrealistica l’ipotesi di un cessione del seggio permenente al consiglio di sicurezza, per gli altri due Stati Europei, quali Gran Bretagna e Francia”.
Proposta “alta” per la rappresentante del Governo, ma ci chiediamo, dove si trovano nel resto del mondo i Paesi che sono favorevoli a un seggio permanente all’UE, che porterebbe a una maggioranza schiacciante di 3 seggi su 6 eventuali permanenti con diritto di veto al consiglio?
Mezza vittoria contro
Si chiedono giustamente sanzioni, di abbandonare l’uso delle armi atomiche e soprattutto di chiede di abbandonare il flusso di esportazioni di armi verso altri Stati membri dell’Onu. Tale ultimo punto è fondamentale per bloccare trattative di armi con stati come l’Iran o
La mezza vittoria consiste nel fatto che, dopo ore di dibattiti e veti di Russia e Cina, si è trovato l’accordo per non minacciare il regime coreano di ritorsioni militari, in caso di proseguimento dei test atomici. Mezza vittoria anche per il Giappone, che pur avendo la presidenza di turno nel consiglio di sicurezza non è riuscito nei suoi intenti di minaccia bellica nei confronti di Pyongyang, come aveva inizialmente proposto.
Si è arrivati fortunatamente all’unanimità quindi delle decisioni. Un risultato non esaltante però.
C’è chi dice però “piuttosto che niente meglio piuttosto”…
Cambia il premier ma non cambia la sostanza. Sembra che ogni capo di Governo a inizio e fine legilslatura debba sempre recitare lo stesso film : “Ho contro tutti. Tutti travasano la realtà! Non ha capito niente nessuno qui!”. Prodi, in un’intervista concessa al quotidiano spagnolo El Pais, si lamenta che nessuna testata d’informazione ( salvo l’Unita) riesce a fare apparire in modo serio e imparziale come stanno veramente le cose in Italia, e in particolare sul caso Telecom dice, “evidentemente lavorare contro i mezzi di comunicazione è per noi un problema serio».
Ma come, nella passata legislatura non era il Cavaliere a lamentarsi di avere con sé solo il 10% della stampa italiana, e tutto il resto in mano ai “poteri forti”? Possibile che in cento giorni tutti gli organi di informazione si siano convertiti al Berlusconismo in gran fretta, lasciando solo il premier?
La verità è un’altra purtroppo. L’Italia, attraverso i suoi leader molto spesso corrosi dal provincialismo “del guardare al proprio orticello”, ha sempre avuto una sorta di “ sindrome da accerchiamento”. Chi va al potere pensa sempre di essere al servizio dei cittadini, ma di avere contro tutto l’establishment economico e finanziario, quasi che fosse una specie di revival loggio-massonico, in cui un potere occulto trama contro chi fa i veri interessi dei cittadini. L’alibi di essere stato eletto dal popolo porta sempre a ritenersi invincibile, e in caso di scivolone politico, ad avere sempre l’affermazione pronta:”Tanto i cittadini capiscono, mi hanno eletto e sanno che posso sbagliare”. Come se poi chi osserva non avesse nessun senso di approccio critico ai problemi reali.
L’economist in questo senso è emblematico. Durante la passata legislatura qualche “guru” del centro-destra diceva che ormai “l’imparzialità britannica è sparita”. Ora che nelle polemiche c’è di mezzo l’attuale Governo, c’è chi si permette di dire nell’estrema sinistra che “ Noi lo avevamo detto, l’Economist ha sempre fatto critiche dall’estrema destra, anche nella passata legislatura”.
Qui sta la seconda tendenza, stile Italia, dopo il provincialismo di cui parlavamo prima. Considerare ogni dissenso sul merito, frutto di giochi politici e in una logica di “tirare acqua solo al proprio mulino”. Identificare come di Destra chi si oppone alla Sinistra e viceversa non è un bello spettacolo anche davanti a un’autorevole periodico come l’Economist.
Forse, per uscire dalla “sindrome dell’accerchiamento” non rimane, come in tanti altri campi seguire l’esempio anglosassone. Si critica, si riceve critiche, anche pesanti, magari di basso livello, ma non si scivola mai in quella demagogia tipica del Bel Paese. Demagogia che sfocia inetivabilmente in quell’odio di classe che ha caratterizzato la vita politica del nostro Paese negli ultimi 50 anni.
A risentirci
Prodi preso da sacro furore, ci ha messo un solo giorno a replicare alla critiche di Bill Emmott. Diamo atto al premier che riesce, in 24 ore a rispondere a un critico e tagliente articolo. Il Cav non ci è mai riuscito, forse Prodi ha tempo da vendere..
Le critiche al suo intervento risulterebbero dieci volte più lunghe dello stesso, quindi non è il caso di soffermarsi su tutti i punti toccati dal nostro “premier orgoglioso”. Solo un punto ci preme sottolineare.
Prodi dice “Oggi l'Italia è diventato un Paese egoista dove si è diffuso un «pensare singolare» che mina fortemente le basi di una democrazia condivisa. Alla vox populi si è sostituito sempre più il convincimento che si possa fare qualcosa purché non riguardi i miei interessi” e ancora “Emmott è inglese e sa bene a cosa mi riferisco: è la politica del Nimby, quel not in my back yard («non nel mio cortile”.
Il problema alla base delle critiche alla politica economica di questo Governo sono proprio qui. Con la retorica del “preoccuparsi solo del proprio orticello”, l’ideologia Stato-padronale di questa maggioranza fa si che la politica entri nei cortili degli individui, con l’unica idea di mettere in sofferenza chi lavora che vorrebbe solo vedere i risultati del proprio lavoro. I conti, i patti di stabilità e il “famigerato” rigore, sono la scusa per avere sempre un “grande fratello” pronto a fregarti un qualche modo. Il motto, in altre parole è “Fai, produci, io ti attendo al varco, ti osservo. Stai attento!”.
La morsa statale è l’arma di Prodi, e i vincoli europei non sono altro che una giustificazione continua.
A risentirci
Bertinotti ci dice che secondo lui il limite al tetto pubblicitario del 45%, non rappresenta una condizione svantaggiosa per il mercato, e il decreto Gentiloni non può essere definito “iperstatalista”.
Concordiamo sull’”iper”… Rimane lo statalista però.
A risentirci
Il Ministro dell’Economia Padoa Schioppa ha risposto così agli elettori del Corriere nella videochat di questa mattina : «Le misure sul Tfr rilanceranno i fondi pensione» ha detto ancora il ministro dell'Economia. «Io penso che nei prossimi giorni si troverà la risposta al problema unico che è rimasto per le imprese, quello del Tfr» ha proseguito Padoa-Schioppa. «Il governo ha posto i giovani al centro del proprio interesse. Bisogna distinguere flessibilità dal precariato, un giovane deve essere pronto nei primi 5 anni della sua vita a passare a lavori diversi, però deve essere possibile passare da un lavoro flessibile a un altro senza cadere nel precariato, sto pensando per questo all'introduzione di appositi ammortizzatori sociali».
E’ incredibile come in dieci righe e 100 parole si possano dire così tante bugie, prendendo in giro milioni di persone preoccupate per una serie di misure “lacrime e sangue”.
“Le misure sul Tfr rilanceranno i fondi pensione”. Draghi lo ha ripetuto anche ieri. Le nuove misure adottate sulla questione del Tfr, obbligheranno lo Stato nel medio-lungo periodo a privilegiare l’Inps, piuttosto che i fondi pensione, perché se così fosse sarebbe una perdita sicura per le casse dello Stato. Nel breve periodo ci saranno nuove entrate, ma così facendo la previdenza integrativa non decollerà mai. Il ministro è cosi sicuro di quello che dice che ammette che comunque il Tfr rappresenta “il problema unico” che hanno ora le imprese.
Sintomi di “dottor jekyll e mister hyde”…
“Il governo ha posto i giovani al centro del proprio interesse”. Anche qui ci tocca di smentire il ministro per due ovvi motivi. Il primo è legato al punto sopra e cioè che con le misure adottate sul Tfr i giovani rischiano di rimetterci più di tutti. In seconda questione non sembra che il Governo sia orientato a liberalizzare a fondo il mercato del lavoro, tanto è vero che l’unica riforma ( Biagi) che va in questo senso è nella fauci della sinistra antagonista, e si pensa di ritornare ai cosiddetti Co.co.co, quelli si precari e senza garanzie per i nuovi entrati nel mondo del lavoro.
“sto pensando per questo all'introduzione di appositi ammortizzatori sociale”. Per chiudere il ministro ci dice che sta pensando di introdurre gli ammortizzatori sociali. Perché non dice che il progetto Maroni è stato silurato dalla Sua parte politica, nella scorsa legislatura? Padoa Schioppa farebbe bene a pensare di meno e agire di più. Anche se fino l’agire è abbastanza deludente.
In definitiva, siamo alle prese con una chiara schizofrenia politica, dovuta probabilmente ai giudizi sostanzialmente negativi, di tutte le parti sociali in causa, sulla Finanziaria. La sua manovra economica, che doveva essere, il motore dello sviluppo, non è altro che un regalo a sindacati e massimalismi.
A risentirci…
Dall’ansa del 13 Ottobre...nsa del 13 Ottobre
OSLO - "Il premio Nobel per la pace e' stato assegnato oggi a Muhammad Yunus, del Bangladesh, definito il ''banchiere dei poveri' e alla sua Granmeen bank. La Grameen Bank, fondata e diretta da Yunus, e' una banca rurale specializzata nel microcredito a favore dei piu' poveri. Il Nobel per la Pace viene conferito ad Oslo ed e' corredato da un premio di 10 milioni di corone svedesi, pari a circa un milione di euro. I candidati erano 191.
''Attraverso culture e civilta', Yunus e la Grameen Bank hanno dimostrato che anche i piu' poveri fra i poveri possono lavorare per portare avanti il proprio sviluppo'': e' quanto si legge nelle motivazioni, scritto dalla giuria di cinque membri che ha assegnato il Premio Nobel per la Pace 2006 a Mohammad Yunus del Bangladesh e alla suo istituto di microcredito. ''La pace duratura non puo' essere ottenuta a meno che larghe fasce della popolazione non trovino modi per uscire dalla poverta''', si legge oltre nel testo.
Yunus è stato definito il ''banchiere dei poveri'' per aver ideato e messo in atto un sistema di piccoli prestiti che ha aiutato milioni di persone in tutto il mondo a sollevarsi dalla miseria.
Nato nel 1940 anni fa a Chittagong, in Bangladesh, Muhammad Yunus ha dedicato la sua vita alla realizzazione di progetti in grado di affrancare la gente dalla poverta'. Laureato in economia, emigrato negli Usa negli anni Sessanta, dove ha insegnato nelle Universita' di Boulder, in Colorado, e alla Vanderbilt University di Nashville, Tennesse, Yunus e' rientrato nei primi anni '70 in Bangladesh per aprire, nel 1976, la Grameen Bank, prima banca etica del mondo, dimostrando che accordando minuscoli prestiti ai poveri si poteva fare di piu' di quanto avessero fatto i miliardi di dollari degli aiuti stranieri. Yunus e' anche il direttore della Grameen Bank dal 1983.
La Grameen Bank, si e' specializzata in prestiti da 25 a 100 dollari accordati a gruppi di donne nei villaggi ed ha consentito di fornire a 12 milioni di persone, il 10% della popolazione del Bangladesh, le condizioni per avviare attivita' autonome. Il modello solidale di Yunus e' stato esportato in una 60 Paesi in via di sviluppo e applicato anche dalla banca mondiale e da altre organizzazioni internazionali.
NOBEL PER LA LETTERATURA A ORHAN PAMUK SCRITTORE DELL'IDENTITA' E DEL DOPPIO
STOCCOLMA - Il premio Nobel per la letteratura è andato allo scrittore turco Orhan Pamuk. La motivazione dell'attribuzione del premio fa riferimento alla capacita' dello scrittore di incarnare l'anima melanconica della sua citta' grazie alla quale ''ha scoperto nuovi simboli per il contrasto e l'intreccio delle culture''.
Orhan Pamuk si considera principalmente uno scrittore, anche se il suo nome e la sua persona sono spesso diventati un simbolo della difesa dei diritti civili e dei conti con il proprio passato da parte della Turchia, nazione che si appresta a far parte dell'Ue. Nato il 7 giugno del 1952 a Istanbul - città alla quale ha dedicato un libro intenso - Pamuk ha sempre rivendicato le origini liberali della propria famiglia. In turco il cognome vuol dire 'cotone' ed è il soprannome dato al nonno dello scrittore che dette inizio alla prosperità della famiglia. Primo amore di Pamuk è stata la pittura, ma anche l'architettura, che ha studiato all'Università di Istanbul, e il giornalismo.
Uno scrittore che non ha esitato a scendere pubblicamente in campo a difesa dei diritti civili di suoi colleghi attaccati in Turchia e fuori, e lui stesso attaccato per aver parlato dello sterminio dei Curdi e degli Armeni. La sua prima novella - una cronaca familiare - è stata 'Cevdet Bey Ve Ogullari' (1982), nella quale, con lo spirito di Thomas Mann, ha disegnato lo sviluppo di una famiglia lungo tre generazioni. Nel secondo romanzo, 'Sessiz Ev' (1983; La casa del silenzio), Pamuk ha usato invece la prospettiva di cinque diversi narratori: tutti intenti a descrivere la visita da parte di numerosi componenti di una stessa famiglia all'anziana nonna.
La scena è quella di una popolare stazione climatica nella Turchia traballante del 1980 oramai sull'orlo della guerra civile. Le discussioni politiche tra i nipoti, ma anche la loro amicizia, riflettono il caos sociale di quegli anni nei quali diverse organizzazioni estremistiche si fronteggiano per il potere. La notorietà internazionale di Pamuk comincia con la sua terza novella, 'Beyaz Kale' (1985; Il castello biancò): un romanzo storico che si svolge nella Istanbul del diciassettesimo secolo, ma il contenuto è soprattutto la storia di come l'ego di ognuno si costruisca su storie e finzioni di differenti generi. Lo scrittore indica come la personalità di ognuno sia una costruzione variabile. Il personaggio principale del romanzo, un veneziano fatto schiavo dai turchi e affidato ad un professore di nome Hodja, si identifica totalmente in lui - e viceversa - tanto da diventare una sorta di perfetto gemello. Al punto che, raccontandosi le storie delle loro vite, si scambiano la rispettiva identità. Metafora - è stato detto - dello scambio delle culture. Quelli dell'identità e del doppio sono temi spesso trattati dallo scrittore.
E' presente anche in 'Kara Kitap' (1990; Il libro nero, 1995) nel quale il protagonista, la moglie e il suo fratellastro si alternano nelle identità. I frequenti richiami dello scrittore alla tradizione mistica dell'oriente rendono naturale vedere nell'opera una prospettiva sufi. 'Kara Kitap' rappresenta anche la definitiva rottura con l'imperante realismo sociale della letteratura turca. Dal libro Pamuk ha tratto la sceneggiatura per il film 'Gizli Yüz' (1992). 'Yeni Hayat' (1994; la Vita nuova) è invece un romanzo su un libro segreto che ha la capacità di produrre cambiamenti irreversibili in tutte le persone che lo leggono. Un affascinante e misterioso potere che cambia le vite, senza ritorno.
Secondo lo scrittore, il tema maggiore di 'Benim Adim Kirmizi' (2000; Il mio nome è rosso) è invece la relazione tra Est e Ovest: da una parte la pittura classica miniaturistica, dall' altra un misterioso omicidio, una dolce-amara storia di amore, e una sottile discussione sul ruolo dell'individualità nell'arte. Pamuk ha pubblicato anche una collezione di saggi 'Öteki Renkler: Seçme Yazilar Ve Bir Hikâye' (1999), e 'Istanbul: Hatiralar Ve Sehir' (2003; Istanbul). Una ricostruzione fascinosa dell' educazione dello scrittore, accompagnata da un ritratto storico della letteratura e della società della città. La parola chiave nel libro è 'Huzun', un concetto sfaccettato che Pamuk usa per rappresentare la melanconia che lo scrittore indica come tratto essenziale della città e dei suoi abitanti. L'ultimo romanzo di Pamuk è 'Kar' (2002; Neve): storia ambientata nel 1990 nella città omonima, vicino al confine orientale della Turchia, un tempo città confine tra gli imperi Ottomano e Russo. Il protagonista, uno scrittore che ha vissuto in esilio a Francoforte, si reca nella città per scoprire se stesso e la sua patria. L'incipit del romanzo diventa un racconto dell' amore e della creatività poetica, ma anche dei conflitti politici e religiosi che caratterizzano la società turca. Molto noto come commentatore politico e sociale, Pamuk rivendica però di essere in primis uno scrittore senza alcuna agenda politica. Ma è stato anche il primo autore nel mondo musulmano a condannare pubblicamente la 'fatwa' contro Salman Rushdie. Si è schierato a fianco del suo collega Yasar Kemal, quando questi è stato imprigionato nel 1995. Pamuk stesso è stato accusato dopo aver detto, su un giornale svizzero, che 30.000 Curdi e un milione di Armeni sono stati uccisi in Turchia: un' accusa che ha provocato forti proteste internazionali e da cui è stato prosciolto."
I nobel vanno e vengono, ma ci sembra che quest'anno siamo in presenza finalmente di scelte di persone che hanno fatto qualcosa per la società. Prima Phelps, rivoluzionario economista che ha smontato 80 anni di keynesismo, poi Muhammad Yunus, inventore del microcredito nel terzo mondo, e Orhan Pamuk, uno che ci ha spiegato fatti, se no sepolti negli archivi di Ankara.Su Repubblica di oggi è brillante l’analisi di Padoa Schioppa, dal punto di vista politico. Dal lato dei contenuti mette benzina sul fuoco e ci non ci fa togliere dalla testa che Confindustria abbia ragione. Montezemolo già lo aveva chiarito sul Corriere di oggi, e per un’analisi lucida e ragionata è da leggere questo post del Pensatore.
A parte la trovata dello scambio tfr- cuneo fiscale, che più che una provocazione assomiglia a quelle notizie di cronaca nera da rivoltare lo stomaco, il fatto politicamente più rilevante della giornata è sicuramente la definitiva consacrazione del “nostro” ministro dell’economia a ruolo di politico tout-court. Presentatosi a via XX Settembre con la fama del tecnico duro e puro, da far impallidire un sottosegretario come Paolo Cento, messo lì per giochi di potere, ha sbaragliato la concorrenza e solo il premier riesce a fare più notizia di lui.
Proprio Prodi, sembra aver insegnato al suo ministro la grande arte del mediare, tipica del più polveroso politichese di questa “strana” Seconda Repubblica.
Renato Brunetta aveva definito Padoa Schioppa “un funzionario di banca”. Non concordiamo perché TPS i propositi da contabile li ha lasciati negli editoriali del Corriere, o al più negli uffici della BCE. Non si capisce come possa, una persona del suo rango, arrivare a dichiarare certe affermazioni.
A parte
Padoa Schioppa ha pensato bene di prendere lezioni di strategia industriale dalla CGIL, riesumando una concertazione a tre, sindacati, confindustria Governo, degna dei “migliori” scambi politici degli anni 70.
Proprio lui, il tecnico prestato alla politica, appare oggi come il ministro più scadente dell’attuale Governo Prodi. Lui risponderà : “ Si è vero, però io ci ho messo la faccia”.
Noi però avremo voluto vedere più il cervello più che il viso.