martedì, maggio 08, 2007

Clausola omofobica

Quando si parla di Inghilterra, dal punto di vista sociale almeno, si fa riferimento ad un tessuto civile preposto alla modernità nel senso stretto della parola.

Non si usa forse l’aggettivo “moderno” oggi per definire una società basata sulla promiscuità razziale e culturale? Sei si vuole esagerare poi, si può anche dire che si è di fronte ad una concezione statale “avanzata”, nella quale le menti dei cittadini sono aperte e completamente prive di ogni pregiudizio medievale (a parte qualche sacca di resistenza troppo spesso sottovalutata).

Bene. In questa idilliaca situazione nella quale per altro, tra poco tempo si potrà anche abortire il figlio se non sarà del sesso preferito dai due genitori, è avvenuto l’impensabile.

Pensa un po’ :

L'amministratore delegato della Bp, John Brown, uno dei piu' noti uomini d'affari britannici, si e' dimesso con effetto immediato, dopo che un Tribunale del Regno Unito ha permesso ad alcuni tabloid di rivelare informazioni sulla sua vita privata, e in particolare sulla sua relazione gay con il canadese Jeff Chevalier, durata 4 anni dal 2002 al 2006. L'Alta Corte di Londra ha tolto un'ingiunzione che proibiva al gruppo Association Press, che raggruppa il Daily Mail, il Mail on Sunday e l'Evening Star, di pubblicare i dettagli sulla relazione, rivelati dallo stesso Chevalier.

Ma come? Proprio nel paese dove anche il Principe (sua Maestà) Carlo gironzola felicemente tra i corridoi di Buckigham Palace alla ricerca di qualche cameriere di “facile approccio”, un amministratore delegato che da ben 41 anni si presta al servizio dell’azienda è obbligato a dimettersi per una relazione omosessuale?

Quali sono le pressioni che hanno indotto il poveraccio a compiere questa scelta?

Lasciamo perdere il fatto che comunque avrebbe dovuto dimettersi entro il 2008 per vari e comprovati motivi legati ad amicizie politiche.


Nella moderna Inghilterra essere gay è un presupposto oggettivo per non avere incarichi dirigenziali? Mettiamo la clausola nello statuto allora...

mercoledì, maggio 02, 2007

L'uomo che non ha alcuna musica dentro di sè,che non si sente commuovere dall'armonia di dolci suoni ,è nato per il tradimento,per gli inganni,per le rapine.I motivi del suo animo sono foschi come la notte:i suoi appetiti neri come l'erebo.Non vi fidate di un siffatto uomo.Ascoltate la musica.

William Shakespeare

Piccolo appunto.
Ma se Shakespeare fosse nato tra gli anni 50 e 60 e avesse scoperto la musica ( con la m minuscola) nata in quegli anni avrebbe detto le stesse cose? La nascita del rock negli U.S.A è stata rubata dalle deformità psichedeliche della terra di William( Uk)...
Detto questo, che direbbe Shakespeare del vomito universale dato al rock da personaggi come Frank Zappa? Quel miscelare numerosi generi che tanto ha condizionato la musica successiva.
Sarebbe ancora dell'idea che chi non si commuove per musica è un ladro?

This is Anfield

Il liverpool è in finale di Champions League. Ai rigori la squadra di Benitez è riuscita a imporsi sulla corazzata Chelsea di Mourinho.

E alla fine quindi il Liverpool è in finale. Per la decima volta nella sua storia, i ragazzi di Rafa sono riusciti ad arrivare dove solo il Milan e il Real Madrid sono arrivati.

Il Liverpool non è una squadra come le altre. E’ qualcosa di più che un team di football. Il Liverpool è passione. E’ sentimento. Qualcosa non adatto ai deboli di cuore. La strage dell'Heysel e la strage di Hillsborough dove morirono 97 persone a Sheffield per problemi logistici, passano tutte e due per la storia dei “Reds”.

Giocare nel Liverpool significa avere nel cuore i 18 scudetti vinti e le 5 coppe dei campioni. Significa portare in dote i colori della squadra più titolata del Regno Unito. L’atmosfera ogni sabato di Premier è magica. Quando entri ad Anfield in realtà non sei in un campo di calcio. E’ qualcosa di più. Un brivido ti passa per la schiena . Se ami il calcio non puoi non pensare di essere al cospetto di un qualcosa che solo il calcio sa dare. Anfield va di pari in passo con la storia dei Reds. Al suo interno sono passate due guerre mondiali, una guerra fredda e l’11 Settembre. Al suo interno sono passate le punizioni di Kevin Keegan e le prodezze di Kenny Dalglish , forse i giocatori che più hanno fatto la storia del Liverpool. Nello spogliatoio quando entri la scritta “this is Anfield” è segno di vittoria.

Il tecnico Bili Shankly, che costruì le basi per il dominio nazionale ed europeo del Liverpool degli anni settanta e ottanta, fece apporre sul muro di spalletta della scalinata che conduce i giocatori sul campo di gioco una targa, con la scritta This Is Anfield (Questo è Anfield), «per ricordare ai nostri ragazzi per quale maglia giocano, e ai nostri avversari contro chi giocano». Molti, tra i giocatori del Liverpool, salendo le scale del campo di gioco toccano la targa in segno di buon augurio.

L’atmosfera è magica ogni volta che il Liverpool entra in campo. Il capitano Gerrard, ad Agosto in amichevole, o in semifinale con Chelsea a Maggio, sa che ha dalla sua il dodicesimo uomo in campo. Non tanto il pubblico, obbligato per certi aspetti a rispettare la storia,e a consacrare una tradizione che va avanti da più di un secolo. Ma lo Stadio in se. Anfield. E poi la Kop. La curva. L’anima dello stadio. Secondo le note di colore della tifoseria locale, i tifosi della Kop possono «risucchiare la palla in rete» quando il Liverpool attacca verso la porta sotto tale curva, a sottolineare l'entusiasmo con il quale i fan sostengono senza sosta la loro squadra.

Dopo la strage di Hillsborough la curva è stata ridotta a 12500. Prima la capienza arrivata a 25000. Lo stadio di Parma in una curva. Questo è Anfield.

Qua nel Merseyside sanno che il sabato qualcosa succede. Una partita del Liverpool non è mai una partita come le altre. Se no non sarebbe il Liverpool. Dai derby con l’Everton, culla del calcio della città, nata addirittura prima dei Reds, agli scontri con lo United, veri rivali di storia e passione. Mai i tifosi del Manchester hanno accettato che i rivali a poche decine di km potessero soprannominarsi Rossi, essendo loro i Diavoli Rossi.

Il Liverpool ha incrociato l’Italia. Tre volte i Reds sono entrati nella storia del bel Paese.

Dopo la prima coppa dei campioni nel 1976, il Liverpool fino agli anni ottanta non smise di vincere: nel 1984 arrivò il quindicesimo titolo nazionale e, soprattutto, la quarta Coppa dei Campioni, vinta ancora una volta allo Stadio Olimpico, questa volta contro la squadra che in quello stadio era normalmente di casa, la Roma. Nell’81 contro il Real Madrid e nell’83 le altre due coppe con le orecchie.

Solo la Juventus è riuscita a battere in finale i Reds, ma in una situazione troppo surreale per definirla vittoria.

Il Milan nella finale di Istambul ha dovuto fare i conti con l’orgoglio d’oltre manica. La vittoria ai rigori pesa ancora ad Ancelotti. Li il Liverpool ci mise il cuore, e se è vero che la fortuna aiuta gli audaci, è anche vero che senza la Kop trasportata in terra ottomana, forse il miracolo non sarebbe avvenuto.

Ieri il Liverpool non ha giocato bene. La squadra di Benitez, su una scala assoluta di valori forse è la quarta squadra d’Inghilterra. A parte l’estro del capitano Gerrard il gioco latita. Si può permettere però la migliore difesa del Regno Unito con i due terzini che rappresentano rispettivamente il futuro di Anfield ( Finnan) e il passato e il presente ( Riise). Ma forse è questo il bello del Liverpool : avere quattro giocatori Inglesi in campo, ma perseguire quel gioco tipico del calcio britannico. Palla lunga e ricerca del traversone dalla fascie.

Dopo la francesizzazione dell’Arsenal, l’avvento dell’orco russo in casa Chelsea, e la fantasia arrivata all’Old Trafford, solo il Liverpool riesce a incarnare lo stile British.

Gente semplice quella dei Reds. Liverpool è una metropoli. Gente che lavora. Gente non abituata all’ingrasso. Non soggetti un po’ spacconi come quelli che entrano a Stanford Bridge a vedere le goleade di Mourinho.

Gente abituata a soffrire. Una città tutta ricostruita dopo la seconda guerra mondiale.

Dopo il lavoro di una settimana di fatiche, ecco quindi il sabato. C’è da sostenere i ragazzi di Anfield. L’inno parte. You’ll never walk alone è l’inno ufficiale che accompagna il team all’inizio e alla fine della partita. Che si vinca o che si perda il Liverpool non andrà mai avanti sola. Ci sarà sempre una sciarpa al cielo per festeggiare i 110 anni di storia di chi ha portato il calcio nei cuori della gente, di chi è uscito distrutto dalle tragedie, ma che è ripartito.

Quando entri ricorda che This is Anfield.

This is Liverpool.