martedì, settembre 25, 2007

Ad Ahmadinejad rispondere con i fatti










Il presidente iraniano lo conosciamo tutti. Sappiamo come la pensa. Sappiamo come ragiona. E’ stato invitato a parlare alla Columbia University, e questo ha scatenato un putiferio.

Nel merito, il solo fatto che l’Hitler del 2007 proponga un referendum sullo stato di Israele fa tremare le ginocchia. Ma mi chiedo, è giusto chiamare un personaggio così scomodo e metterlo nella condizione in cui lui metterebbe un interlocutore, se ci trovassimo all’università di Teheran?

E’ giusto mettersi al suo livello, obbligandolo a risposte secche?

Ahmadinejad a casa sua farebbe così.

Non conoscendo cosa sia lo stato di diritto e il mercato delle regole, non sa cosa possa essere l’obiezione, la divergenza, il contrasto.

Il presidente iraniano a New Jork ha fatto la figura della vittima. Una vittima davanti all’imperialismo occidentale che pretende di avere sempre ragione.

A questo signore, a mio parere, bisogna rispondere con i fatti. Se lui pretende di essere l’assoluto e il braccio politico del Consiglio Supremo degli Ayatollah, allora ci spieghi le sue affermazioni.

Sul terreno della demagogia e dell’offesa vince lui. Vince chi la pensa come lui. Vince l’intolleranza.

Le proteste civili in piazza sono in sale della democrazia, ma ogni tanto sarebbe curioso chiedere ad Ahmadinejad il senso delle sue accuse, e delle sue affermazioni. La giustificazione delle fesserie che ci propina ogni giorno.

In questo modo, con la cultura, e i fatti, è possibile abbattere quel tessuto di dogmi e valori assoluti, di cui è intrisa la mente di un uomo tanto determinato, quanto senza scrupoli, come il presidente iraniano.


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