giovedì, ottobre 11, 2007

Yunus e la sua Grameen Bank

Stralcio dalla relazione sul microcredito. Favola interessante...


La Grameen bank nasce nel 1976 in Bangladesh per opera di Muhammad Yunus. Letteralmente Grameen vuol dire “banca del villaggio”.

All’inizio degli anni 70 Yunus era un giovane assistente all’università e cominciò a notare che qualcosa non andava. La percentuale di poveri nei villaggi rurali del Bangladesh era molto elevata e la cosa più negativa era che i poveri rimanevano poveri. Le teorie economiche studiate all’università, Keynes, i neoclassici, la moneta, non bastavano a Yunus. Non capiva come mai le banche concedevano moneta solo a quelli che più di altri non ne avevano bisogno. Secondo l’avvenente economista il problema della crescita dei paesi meno sviluppati era questo. La concezione del credito avveniva solo su garanzia reale, e quindi le fasce più povere della società erano svantaggiate non avendo nulla da garantire se non la propria persona.

Dopo la laurea, Yunus scoprì l’America. Il viaggio a Occidente aprì la mente del giovane asiatico. Sviluppo, crescita, benessere erano le basi della società a stelle e strisce. E cosa più insolita era che la gente stava bene per merito proprio. Lo Stato infatti non era né “piccolo padre” come nella Cina di Mao, nè grande fratello come nella realtà sovietica.

Yunus rimase colpito. Proveniva da un paese economicamente arretrato. L’ordine delle cose a cui era abituato non coincideva con una realtà affermata e in espansione come l’impero americano. La società del Bangladesh, come quella di tutti gli altri paesi che si stavano lentamente distaccando dall’India era una realtà che era in mezzo a due assolutismi estremi: il socialismo reale e la religione.

Uno Stato che prendeva tutto e si occupa di ridistribuire in forma eguale a tutti era la prassi a est, e in alternativa la via era quella della teocrazia. In tutti e due i casi gli effetti erano gli stessi.

Assoluta povertà, crescita frenata, e ruolo della donna relegato a oggetto di casa.

La svolta comunque si ebbe nel 1974. Yunus tornò dall’America, e l’esperienza coincise con la grande carestia che attanagliò il Bangladesh. Migliaia di poveri costretti alla miseria e uno stato che non sapeva come fronteggiare il bisogno di tanti.

A quel tempo il Bangladesh godeva come tutti i paesi in via di sviluppo degli aiuti della Banca Mondiale. Aiuti a pioggia che secondo Yunus aiutavano pochi a discapito di molti.

La Banca Mondiale ogni anno emetteva prestiti e aiuti al paese. Il Governo però non poteva ridistribuire in modo uniforme gli aiuti in quanto una spartizione ai cittadini non portava a nessuna crescita vista la grande massa disagiati. Mancando di cultura economica, gli investimenti erano troppo modesti perché visibili. I soldi finivano quindi per rimpinguire le casse delle banche, e delle già potenti caste presenti nel Paese. Uscire da una situazione così complessa appariva difficile, anche perché la situazione internazionale era complessa. In piena guerra fredda paesi come l’India manifestavano la chiara volontà di non allinearsi, in quella sorta di ambiguità che non portò sicuramente benefici di alcun tipo ai vicini della più antica democrazia del mondo.

Yunus non accettò tutto ciò e venne folgorato da un’idea. Perché non aiutare i poveri concedendogli prestiti?

La garanzia sarebbe stata la sua stessa dignità. Il povero garantisce se stesso. Yunus aveva ben chiaro che concedendo piccoli prestiti a molti, si sarebbe far potuto uscire dalla povertà tante persone.

Perché allora non fare la carità o l’elemosina? Secondo Yunus, il concetto di regalo mal si addiceva a una realtà bisognosa di “fare” come quella del Bangladesh. Se tu dai soldi al povero per mangiare, quando ha finito di mangiare avrà ancora bisogno di soldi. Nel lungo periodo il povero capirà che potrà mangiare sempre, senza però creare ricchezza, bensì sfruttando la benevolenza degli altri. Questo non può che portare a una redistribuzione della ricchezza, ma in una logica meramente di “ passa mano”, e non economicamente evoluta. Infatti il passaggio di moneta non ha nessun ritorno in fatto di creazione di ricchezza. Questo non può che essere deleterio per l’economia.

Le banche non erano disposte ad aiutare i poveri in quanto mancava la garanzia che si sarebbe potuto adempiere al prestito. Yunus allora si prese la briga di concedere lui stesso prestiti dando incentivi ai poveri. I prestiti erano solitamente di gruppo. Il gruppo era la garanzia. La garanzia che se anche uno non avesse saldato il debito, tutti gli altri non potevano avere nuovi prestiti.

La somma dei prestiti era poi rilasciata solo per iniziare un’attività. Da un lato stimolava l’offerta di lavoro creando ricchezza, e dall’altro incentivava i poveri a restituire il prestito.

Seppure i prestiti erano piccole somme dotate di interessi abbastanza elevati, il povero sapeva che se voleva mettere su un’attività propria e uscire da una condizione di miseria, doveva per forza adempiere ai propri obblighi costantemente, pena il ritornare alla condizione di povertà antecedente al ricordo al credito.

Yunus era certo che tutti avrebbero operato in questo senso. Contrarie invece le grandi banche del paese che vedevano il povero sempre più povero, identificandolo solo in base a quello che aveva, e non a quello che poteva diventare.

Yunus trovò sempre difficoltà nel rapporto con le banche e in particolare con la Banca Mondiale, criticata spesso dall’economista per l’insensatezza degli aiuti a “pioggia” come già ricordato.

Grande attenzione era al ruolo delle donne. Yunus era credente. Musulmano praticante. Ma si rifiutava di considerare la donna come un’oggetto e rifiutava l’idea che fosse solo il marito a doversi occupare della famiglia.

La donna per Yunus doveva entrare nel circolo vizioso dell’economia e responsabilizzandola anche tramite incentivi al lavoro, poteva fare uscire la sua figura da quella condizione di ghetto che ancora, nel 2007 la attanaglia in tante realtà nei paesi in via di sviluppo.

Ecco perché Grameen ha concesso soprattutto a donne sia la possibilità di lavoro e sia la concessione di prestiti. Il 90 % dei soggetti che hanno ricevuto prestiti sono appunto donne. Donne vogliose di libertà, e donne che hanno capito che la parità sessuale è la prima condizione per una crescita nell’interesse dei cittadini.

Seppur tra mille difficoltà il progetto Grameen, da piccola realtà si è espanso in tutto il paese.

Dopo tanta fatica le è stata concessa lo status di banca. Banca diversa sì. Ma pur sempre banca con tutte le agevolazioni che hanno gli istituti di credito in materia di aiuti e prestiti.

Partendo dal 1974, anno della carestia quindi, il percorso di Yunus e di Grameen attraverso numerose prove.

Nel 1976 il villaggio di Jobra e altri villaggi che circondano l'Università di Chittangong divennero le prime aree in cui era possibile usufruire dei servizi della Grameen Bank. La Banca ottenne un successo immenso e il progetto, con il supporto del Governo, fu esteso nel 1979 al distretto di Tangail (a nord della capitale Dhaka). Il successo della Banca è continuato e si è presto allargato a vari altri distretti del Bangladesh finché nel 1983 il Parlamento l'ha trasformata in una banca indipendente.

L'elevatissmo tasso di restituzione dei prestiti alla Banca rallentò nel 1995 a causa del boicottaggio religioso di carattere fondamentalista attuato da alcuni settori della società contrari all'obiettivo della Banca di migliorare lo status delle donne. Il boicottaggio rientrò presto; purtroppo l'andamento dei rimborsi alla Banca entrò nuovamente in difficoltà nel 1998 a causa dell'inondazione del Bangladesh ed ha ripreso il suo ritmo solo di recente.

La Banca oggi continua ad espandere la propria attività in tutto lo Stato e tuttora fornisce piccoli prestiti ai poveri delle campagne. A metà del 2006 le filiali della Grameen Bank ammontavano a più di 2.100.

Alcuni dati aggiornati al 2006 ci mostrano come Grameen sia una realtà ora affermata in tutto il mondo, sia in paesi sviluppati che non.

Un'insolita caratteristica della the Grameen Bank consiste nel fatto che essa è di proprietà dei clienti indigenti finanziati dalla banca stessa, la maggior parte dei quali sono donne. I clienti finanziati sono titolari del 94% del capitale della banca e il restante 6% è di proprietà del Governo del Bangladesh.

Altri fatti relativi alla Banca, aggiornati a maggio 2006 sono i seguenti: L'ammontare totale dei clienti finanziati è di 6.39 milioni, il 96% dei quali sono donne.

La Banca ha 2185 filiali in 69.140 villaggi con un totale di 17.336 dipendenti e il tasso di rimborso dei prestiti è del 98,45%.

Il totale dei prestiti concessi dall'avvio dell'attività bancaria ammonta a 263.840.000.000 di Taka (5.340.000.000 di dollari USA). Di essi sono stati restituiti 234.750.000.000 di Tk (4.730.000.000 di dollari USA).

La banca inoltre fonda il meccanismo su sedici principi riassunti nello statuto della banca:

1.Vogliamo seguire ed affermare i quattro principi della Banca Grameen (Disciplina, Unità, Coraggio e Duro Lavoro) in ogni momento della nostra vita;

2.Vogliamo portare il benessere nelle nostre famiglie;

3.Non vogliamo abitare in case in rovina; vogliamo riparare le nostre case e vogliamo lavorare per costruircene di nuove nel più breve tempo possibile;

4.Vogliamo coltivare i nostri orti tutto l'anno; vogliamo mangiare ortaggi in abbondanza e vogliamo venderne il sovrappiù;

5.Nel periodo della semina vogliamo piantare la maggior quantità possibile di germogli;

6.Vogliamo pianificare le nascite affinché le nostre famiglie siano piccole; vogliamo contenere le nostre spese e vogliamo curare la nostra salute;

7.Vogliamo educare i nostri figli ed essere certi che essi possano guadagnare per pagare la loro istruzione;

8.Vogliamo mantenere puliti i nostri figli e l'ambiente;

9.Vogliamo costruire ed utilizzare latrine con la fossa biologica;

10. Vogliamo bere l'acqua da pozzi scavati fino alle falde; qualora non fosse disponibile, bolliremo l'acqua o useremo l'allume;

11. Non vogliamo accettare nessuna dote ai matrimoni dei nostri figli maschi né vogliamo darne per i matrimoni delle nostre figlie: manterremo i nostri villaggi liberi dalla maledizione della dote; e non celebreremo nessun matrimonio tra bambini;

12. Non vogliamo infliggere alcuna ingiustizia a nessuno né consentiremo a chicchessia di farlo;

13. Vogliamo fare insieme investimenti comuni sempre più cospicui dai quali ottenere redditi sempre più alti;

14. Saremo sempre pronti ad aiutarci reciprocamente; se qualcuno/a si trova in difficoltà lo/la aiuteremo;

15. Se verremo a sapere di infrazioni alla disciplina in qualche villaggio, ci recheremo a dare una mano a ripristinarla;

16. Parteciperemo tutti insieme alle attività comuni.

Le nuove frontiere di Grameen sono aperte. Per stare al passo con i tempi sono state proposte numerose modifiche al sistema originale della banca. Le principali innovazioni riguardano la gamma dei prodotti finanziari. Le novità sono racchiuse nel documento programmatico di Yunus del 2002 di nome “ Grameen Bank 2”. Il nome del progetto, Grameen Generalised System è scaturito dall’esigenza di rendere l’intero sistema meno rigido e standardizzato, maggiormente elastico tale da poter essere ancor più vicino alle esigenze delle persone, cercandone di tutelare e valorizzare la specifica personalità ed identità.

Effettuando una prima analisi in parallelo fra modello tradizionale e modello generale di sistema possiamo immediatamente scorgere la coerenza di fondo del nuovo progetto rispetto al sistema originario.

Il concetto di solvibilità del povero resta un punto focale ed immutato, confortato da nuovi dati empirici, i quali evidenziano un’altissima solvibilità (98%) di tutti quegli individui che avendo sforato la data di scadenza del prestito si impegnano ad un totale rimborso, maggiorato degli adeguati interessi, in un tempo futuro. La valorizzazione delle attività comunitarie inerenti il lavoro, e la modalità di concessione ed erogazione del credito a piccoli gruppi di persone, rimangono concetti estremamente saldi.

La centralità della categoria femminile, come agente privilegiato atto all’accesso al credito, è ampiamente confermata.

Il nuovo sistema propone alcuni escamotage e nuovi concetti/prodotti, che apparentemente si discostano dal canone classico, tuttavia come vedremo, non si pongono assolutamente in contraddizione, bensì sono in funzione di esso.Tra le principali peculiarità di questo nuovo assetto della Grameen Bank ci sono:

- Flessibilità dei prestiti in termini di importi, clausole e scadenze.

- Personalizzazione ad hoc dei programmi di microcredito.

- Accesso al credito consentito anche a singoli privati.

- Nuove linee previdenziali ed assicurative.

- Esternalizzazione delle utilità ed internalizzazione delle disutilità, che il singolo può apportare in relazione al gruppo di lavoro (abolizione del fondo mutualistico comune del gruppo).

- Sistema di propositiva meritocrazia non tesa ad esiti sperequativi.

- Eliminazione di pratiche che inducevano il povero a stati di stress e tensione nervosa.

Come appare dai microconcetti sopra citati, pur avendo dato al sistema del microcredito un’impronta lievemente individualistica, il nuovo assetto non ha sminuito in alcun modo l’originale orientamento teso alla socialità e alla relazionalità all’interno dei rapporti orizzontali fra i membri dei gruppi di lavoro; anzi lo ha notevolmente incrementato se consideriamo i rapporti “verticali” che intercorrono fra Grameen Bank e singolo utente, ovvero la persona nelle sua interezza e poliedricità.

La soluzione tesa all’accoglienza e valorizzazione di ogni singola persona, che operativamente si

traduce in termini di flessibilità ed individualizzazione di alcuni aspetti del programma di

microcredito è stata una scelta sicuramente opportuna ed efficace, soprattutto ora che la

struttura organizzativa della Grameen Bank è in grado di poterla sostenere ed effettuare in modo adeguato e rigoroso.

Il progetto Grameen va avanti quindi. I concetti di fondo rimangono anche se la sfida è ancora aperta soprattutto rispetto a una globalizzazione che continua dimenticando indietro fasce sempre più grandi di popolazioni, che ancor prima dei mezzi, non hanno gli strumenti per stare al passo con i tempi.

Grameen serve a questo: dotare i poveri di strumenti.

giovedì, ottobre 04, 2007

Ma in Russia c'è democrazia?


Dal 2000, anno dell’avvento dell’ex ufficiale del Kgb, tutti si chiedono se in Russia sia ancora possibile parlare di democrazia. Le sortite di Putin ogni anno si fanno sempre più preoccupanti.

Non c’è conflitto diplomatico planetario dove la Russia in qualche modo non sia presente.

L’Onu è bloccato per i continui veti dell’ex Urss e della Cina comunista.

I misteri degli ultimi omicidi politici si infittiscono e appare sempre più coinvolto l’apparato statale russo,anche se in via squisitamente indiretta come è nella nuova tattica di Putin.

Il surriscaldamento globale sembra averci portato almeno un vantaggio: l’inverno non è così freddo come è sempre stato, e Gazprom non ha la capacità di farci tremare i denti per quattro mesi all’anno.

La Russia quindi è nelle nostre teste ed è presente ogni giorno nell’attualità internazionale.

Le elezioni presidenziali tenutesi nel 2000 e nel 2004 sono state vinte da Putin a maggioranze bulgare per la mancanza di una vera e propria opposizione.

Repressioni per manifestazioni di piazza e vincoli burocratici sono state attuate sistematicamente dall’apparato di sicurezza interno della Federazione Russa.

Il 4 Dicembre 2007 si terranno invece le elezioni parlamentari dove il partito del presidente, Russia Unita, sembra non avere rivali. L’ex campione di scacchi Kasparov sta facendo il possibile per portare migliaia di persone in piazza. Ma la gente ha paura. Ha paura come l’aveva quando in piazza c’erano le adunate militari volute da Breznev e Khruščёv negli anni del terrore. Sarà difficile quindi per liberali, comunisti e riformisti ottenere un risultato migliore di quello del 2003 dove con il 40 % Russia Unita ottenne più della maggioranza dei seggi della Duma. Per Dicembre si teme addirittura un risultato ancora più estremo con il partito dell’orso in grado di raggiungere il 50 % dei consensi.

Apparentemente non ci sarebbe nulla di male nei numeri. Nulla di male se uno non sapesse cosa sta accadendo in Russia e come si sta evolvendo il sistema politico interno.

L’altro ieri il presidente russo ha dichiarato che l’addio al potere è rimandato. Al massimo sarà un arrivederci. La Nuova Costituzione vieta che ci si possa ripresentare tre volte di seguito alle presidenziali. Ciò non toglie che Putin possa presentarsi come primo ministro per un mandato per poi tornare il sella nel 2012 per la prossima legislatura. A questo punto tutto si gioca intorno alla nomina che farà il principale partito alla guida del Paese. Russia Unita appunto.

Nel discorso dell’altro ieri Putin ha indicato che il suo successore dovrà essere «una persona perbene, capace e moderna disposta a lavorare in squadra con lui». Insomma, un presidente fantoccio, che, salvo colpi di scena, risponderà al nome dell’attuale premier, il fedelissimo e sconosciuto Viktor Zubkov.

Medvedev, l’altro possibile candidato, figlio del potere energetico e industriale, sembra troppo giovane per prendere il timone della Madre Patria Russia. Si dice anche che sia in atto un tentativo di frenarlo per le sue ambizioni di potere, ritenute troppo esplicite da parte dell’entourage del presidente. Non rimane che Zubkov quindi, uomo di fiducia e sconosciuto. Per questo appunto innocuo. All’inizio del prossimo anno i due si scambieranno le funzioni almeno dal punto di vista formale, ma l’unico vero boss rimarrà Putin.

La stampa russa sostiene che la Russia sta prendendo la forma di una repubblica parlamentare abbandonando il modello presidenziale. Pare però un pretesto, perché la realtà è che nelle prossime legislature il potere sia sempre più stabilmente in mano a Vladimir.

Il regime oligarchico è già tramontato da un pezzo. La “casta” industriale che sosteneva Boris Eltsin ha fatto strada al monopolista Gazprom che ha mangiato via via tutti gli altri protagonisti nello sfruttamento delle risorse energetiche. Lo Stato tramite Gazprom ha epurato e smantellato gli ultimi rimasugli di quella che fu la contro-rivoluzione per la democrazia.

L’ex patron della Yukos Mikhial Khodorkovsky, prima di essere arrestato e spedito in galera in Siberia ha rischiato la vita per essersi messo contro Putin.

E poi lui, l’arcinemico, l’oligarca degli oligarchi, quel Boris Berezovski che ha giurato guerra a Putin, e quindi a tutta la Russia. Il magnate dell’aria e del petrolio era il più coccolato al Cremlino quando c’era Eltsin.

Quando nel ‘99 fu chiaro che Eltsin aveva scelto Putin come successore, per Berezovzki le cose cominciarono a cambiare. Da gestore del potere cominciò a diventare diffidente del potere. Quello era un periodo difficile. La Russia colpì crudelmente la Cecenia e Berezovski sentì che era giunto il momento di cambiare aria.
Anche perché i giudici, senza più Eltsin a proteggere gli oligarchi, tornavano a farsi domande sul suo pacchetto azionario nella compagnia di Stato Aeroflot e sulla legittimità della sua proprietà della Logovaz, l’azienda di Stato sovietica che faceva automobili, privatizzata.
Durante una delle sue frequenti visite a Londra, scelse di restarvi.

Aveva venduto nel frattempo i suoi interessi nei media, fra cui il controllo del giornale economico «Kommersant».
Lasciò così a metà il suo ultimo progetto politico: nel 2000 aveva creato dal nulla uno spontaneo partito politico, «Russia Liberale», che secondo le sue intenzioni doveva unire in un blocco tutti gli uomini d’affari (del suo stampo) «sostenitori del libero mercato».
Partito finito nel nulla da quando manca di spontanei finanziamenti e da quanto i comunisti sembrano l’unico tentativo di andare contro il sistema attuale.

Con Berezovski si è chiusa definitivamente l’era degli oligarchi. Quelli che rimangono rispondono direttamente a Putin. Le libertà economiche in Russia sono arrivate prima di quelle politiche.

Ma tali libertà sono state le prime anche a diventare sempre meno “libere” e sempre più governate dall’alto.

In fondo da prima del ’89 non è cambiato molto. Cosa cambia da uno Stato che domina l’economia a uno Stato che domina un soggetto che domina l’economia ? Niente. Solo il potere passa da diretto a indiretto.

Questa sembra essere la nuova strada per la Nuova Russia, tanto nuova quanto vecchia nei meccanismi e nelle logiche di spartizione del potere.

L’idea balenata al Cremlino di dare a Putin il Governo, in attesa di tornare al posto che più gli compete, non va nella direzione che auspica la Comunità internazionale.

Le recente prove di forza sul sistema missilistico e il riarmo strategico deciso da Putin va di pari in passo con la scalata economica.

Nella basi sul Volga e a Polyarny giacciono ancora i sottomarino classe Kilo, Minsk e Kiev, che tanto facevano paura a Kennedy durante la guerra fredda. Ecco perché ogni tentativo di scuotere l’orgoglio militare russo da parte di Putin, non può non far pensare a ricordi inquietanti e storie che avremmo voluto dimenticare.

Gli Stati Uniti, per bocca della Rice, bocciano senza appello l’idea di gestione del potere indiretto da parte di Putin. Ma stanno in attesa degli eventi, anche perché aprire un altro fronte dopo quello del terrorismo e dell’asse del Male, appare eccessivo anche per un impero globale come quello a stelle e strisce.

Negli ultimi giorni due eventi hanno scosso però profondamente le ambizioni di potere russe.

La Birmania e l’Ucraina.

I monaci buddisti hanno dato fastidio. Il regime birmano non è così brutale come ora i mezzi stampa lo dipingono. Non a caso la protesta è nata su un imprevisto aumento della benzina. Un fatto economico appunto. Non certo per i diritti civili, calpestati si come in ogni altro regime, ma con una brutalità nemmeno paragonabile a quella nord coreana o quella cinese. Chissà se Putin non ha pensato che scene come quelle di Rangoon possano accadere anche a Mosca?

In fondo la situazione, non è poi così diversa. Fa forse solo impressione che il governo russo sia in giacca e cravatta, e invece in Birmania ci sia una giunta militare che governa. Per il resto le analogie sono evidenti.

In Ucraina, timone dell’ex Unione Sovietica, la situazione è complessa e sembra proprio che da qui si possa profilare un intoppo nelle strategie di Mosca.

Dopo che l’asse della rivoluzione arancione della bionda Timoshenko e di Yushenko ha vinto le elezioni il filorusso Yanukovich non potrà reclamare potere. L’uomo fidato di Mosca a Kiev è stato sostenuto con tutti i mezzi da Putin, ma ciò non è servito per tappare la voglia di nuovo della maggioranza del popolo ucraino.

Moti, quelli ucraini, che, tradizionalmente anticipano le sorti del fratello maggiore russo.

Putin lo sa. Per questo Gazprom ha già messo all’erta che se l’Ucraina non rispetterà i suoi impegni di debito nei confronti del gigante energetico, i rubinetti saranno chiusi ancora una volta, come due inverni fa.

Ma Putin sa anche che la Georgia è in attesa degli eventi, e la Nato è un fantasma che si aggira sempre di più nelle stanze di Tbilisi. Se l’ambiguità rimane sul fronte della lotta al terrorismo, con la solita violenza verbale nei confronti dei ribelli ceceni, e i soliti mugugni verso il nucleare iraniano, decisive a questo punto saranno anche le presidenziali americane.

Se l’amicizia con Bush è ben salda e ha garantito un relativo tempo di “pace forzata”, non sappiamo come si svilupperanno gli eventi in caso di vittoria di un’esponente democratico. Calcare la mano potrebbe far impuntare sempre di più Mosca verso l’irrigidimento dei rapporti verso gli U.S.A, cosa non del tutto auspicata da Washington per i motivi elencati sopra.

La democrazia comunque in Russia sembra ancora lontana. Le nubi sul cielo di Mosca non presumono nulla di buono.

Troppo spesso si riconosco a Putin i meriti di essere una grande potenza, lasciando correre omicidi mirati, strategie politiche ed economiche, che non sarebbero tollerati se commesse da altri Stati.

Di frequente si fa finta di non vedere che in un sistema come quello russo non esistono bilanciamenti al potere esecutivo. La magistratura, e il parlamento, per quello che vale ora, sono del tutto asserviti al Cremlino, in stile molto simile a quello sovietico.

Real politik quindi o semplice working progress in attesa degli eventi?

Una cosa è certa.

La Russia lentamente si sta evolvendo. Ma sempre di più sta tornando a quello che era, e a quello che pensavamo fosse morto e sepolto. Chissà quando ci si accorgerà veramente di tutto questo.

martedì, ottobre 02, 2007

Israele agisce unilateralmente?

Dolente o nolente Israele la sua parte la fa.

La palla come al solito passa alla ANP e ad Abu Mazen. Le critiche che vengono spesso dall’opinione pubblica è che Gerusalemme spesso agisca unilateralmente. E’ accaduto tante volte e non ultimo, il ritiro dalla striscia di Gaza da parte di Ariel Sharon.

Ma da quando in qua i gesti distensivi sono nelle relazioni internazionali, concordati?

Magari un gesto distensivo tira l’altro ci può essere un negoziato. Non ricordo atti di particolare importanza compiuti ne da Abu Mazen ne da Arafat ( a parte rinunciare al 98% delle promesse da lui chieste a Camp David).

Non ricordo gesti distensivi nemmeno da parte di Hamas, ma evidentemente a Gaza la parola “moderazione” non sanno che vuol dire.

Attendiamo gli eventi quindi.

Purtroppo gli ami lanciati sono tanti. Il pesce fiuta e prende un’altra strada però.