martedì, aprile 24, 2007

Asse AN-FI in fretta!!

Il centro destra deve ripartire dal centro sinistra. Pur criticabile nei meriti, nei contenuti e nelle persone, è innegabile che i democratici qualche passo lo hanno fatto. Sono andati avanti lo stesso. E’ di oggi la notizia che Angius esce dai DS. Un altro pezzo di storia se ne va, dopo Mussi.

Il 17% globale del partito va quindi verso un’altra sinistra. Prende un’altra strada.

Rutelli ha detto che Berlusconi teme il partito democratico. Il problema non è se Berlusconi teme o meno il Pd, ma piuttosto che cosa può portare alla politica italiana in generale la nuova forza nata dai congressi di questo fine settimana. Una forza come quella attuale vale all’incirca il peso che ha FI. Un 30 % scarso dei consensi quindi.

Possiamo parlare di partito unico? Evidentemente no. Si può parlare di nuovo partito. Ma non di soggetto unitario. Per il semplice fatto che vi è un’altra 20% circa che naviga tra l’estrema sinistra e il centro mastelliano e folliniano.

Dove è la novità allora? Probabilmente che c’è un’unione della cultura social-democratica con la cultura cattolico democratica. Fin qua tutto condivisibile. Anzi auspicabile per chi crede nel sistema dell’alternanza. Il problemi saranno i contenuti e i valori a cui si ispirerà tale partito. La leadership in tal senso appare un problema assai minore.

Come già detto quindi un soggetto capace di raccogliere il 30 % dei consensi non è altro che un partito come altri, come lo è stato il PCI per tutta la sua storia, o come era la DC. Un partito senz’altra di massa nelle intenzioni dei suoi dirigenti, ma che mal si concilia col sogno di Parisi e Bordon. Ovvero un’ulivo che raccolga sotto le sue bandiere più di due culture politiche.

Il centro destra deve però muoversi. Guardare dall’alto della collina la battaglia tra Achei e Troiani non serve a nulla. Achille prima o poi dovrà scendere in campo. Quando lo farà si spera non sia troppo tardi.

Un’asse FI-AN per ora è la più probabile. È capace di raccogliere il 42-43% dell’elettorato e si propone come il timone di un’asse laica liberale cattolica moderata. Tutto questo con un’appoggio leghista che porta in dote un 10 – 12 % al Nord. Questo è lo sbocco a cui si deve arrivare. Per questo secondo noi il referendum sulla legge elettorale si farà e le bozza Chiti e Calderoli cadranno nel vuoto. Perché questo è il volere del Cav e di Fini. Un maggioritario porterà Casini davanti a un bivio. Scegliere di andare a morire da solo o di accasarsi al Partito delle Libertà. D’altro canto i democratici saranno consapevoli che un sistema dell’alternanza potrebbe portare a quanto è capitato a Segolene Royal in Francia : gli indecisi tra l’estrema sinistra e la sinistra voteranno per loro, per paura di dare un voto che indirettamente benefici il centro destra.

Un’asse Rutelli-D’Alema-Berlusconi-Fini è nell’aria. E se si muovono i maggiorenti di tali partiti Bertinotti e Mastella sanno che poco possono fare.

La strada è quindi segnata. Il partito democratico avrà alla sua sinistra una grande forza di sinistra. Il partito delle Libertà sarà probabilmente l’unico soggetto degno di nota nel centro-destra italiano, compiendo finalmente il passo che tutti i moderati si aspettano da tempo.

Più che la paura di Berlusconi per il partito democratico quindi, si potrebbe azzardare una paura di Fassino e Rutelli a vedere come i loro sforzi negli anni potrebbero essere preceduti da uno scatto politico del Cavaliere che brucierebbe più tappe in un colpo solo.

A quel punto un centro destra finalmente unito sarebbe una garanzia di sicurezza al Governo ben di più di un partito democratico in balia di un 15% di elettori di estrema sinistra che si muoveranno per contrastare tutto quello sa di riformista.


Sarkozy vera passionaria di Francia

Sarkozy probabilmente al secondo turno vincerà. Non fosse altro perché l’elettorato centrista non è altro che una trasfusione di voti provenienti da destra. Solo una piccola parte di essi infatti sono socialisti scontenti. In queste elezioni francesi, amerinikanizzate al massimo, il punto vero è l’impostazione personale data dai due candidati forti alla campagna elettorale.

Sarkozy ha fatto breccia sulla gente. Ha giocato di sponda con l’elettorato di destra mentre ha rincuorato tutti i moderati impauriti dallo spettro di Le Pen.

Ha accontentato la gente semplice dell’Alsazia ed è andato a St.Germain quartiere dove sta il cuore dei radical-chic d’Oltralpe. Ha vinto al primo turno perché ha messo quella passione che mancava nell’agenda poltica francese. Una terza via tra gollismo e populismo estremo ha portato nei cuori dei francesi voglia di ricambio generazionale e fiducia sulla grandezza della Francia. Nella sua campagna temi di destra e sinistra si sono scambiati i ruoli, in nome di un concetto più alto. Quello di Nazione. Tipiche prove di orgoglio nazionale che solo la Francia sa dare. La vera donna, la vera passionaria di Francia è quindi Sarkozy. Innovatore della politica, che prima parte dai valori e poi riflette sui problemi. Quel grado di intendere la “cosa pubblica” in nome del trio cultura-politica-economia tanto caro alla Destra italiana, che qui da noi, in nome del vecchio Marx, è stato completamente ribaltato.

Questa terza via forse ha regalato un personaggio nuovo ai francesi. Un nuovo De Gaulle, formato 2000, con i suoi pregi e i suoi difetti, un po’ rude, magari non simpaticissimo, ma terribilmente concreto quando serve, e filosofo in altri momenti.

Lui la “vera passionaria” si è scontrato contro chi ha cercato di unire. E chi cerca di unire immancabilmente tende a sminuire. Segolene ha fatto questo. E’ riuscita a compattare il blocco socialista lasciando agli estremi poche centinaia di migliaia di voti ma non è riuscita dove invece è arrivato Sarkò: far breccia nella gente.

Tutto impostato sul “tutti tranne lui” ha burocratizzato la campagna elettorale. Ha creato un’ernome massa di scontenti verso tutto. Verso l’Europa. Verso la Francia. Verso gli Stati Uniti. Verso gli immigrati. Una proposta di retroguardia. Un gelido pessimismo incapace di dare delle risposte a una società complessa come quella francese. A livello internazionale hanno pesato le numerose gaffe sull’Iran, sulla guerra in Libano e sugli Stati Uniti. Questo ha portato Segolene ad essere più cauta. A galleggiare a pelo d’acqua. Non è così che si conquista il consenso però.

Ora spera di unire ancora. Di portare dalla sua parte il centro. Forse servirà. Forse no.

Aggregare però non sempre riesce a essere la mossa politica più convincente.

C’è lo insegna Sarkozy. La prima donna di Francia.

domenica, aprile 22, 2007

Draghi Vs Governo

Draghi parlando da Berlino ha detto che in Italia devono calare le tasse.

Mentre i DS e i DL si uniscono facendo un partito unico, e Prodi deve mediare per la spartizione del “tesoretto” tra Ferrero e Padoa-Schioppa, continuano i moniti del Governatore verso l’esecutivo e la classe dirigente del Paese.

La politica italiana sembra essersi fermata ai congressi di partito, anche se la vita economica del Paese va avanti. L’economia in Eurolandia sta marciando a ritmo sostenuto. L’euro è a livelli record da 3 anni a questa parte, e come volevasi dimostrare, quando l’Europa tira, il timone lo ha la Germania. L’export è forte, sale la fiducia negli investimenti, e se da noi la politica soffia sul collo a chi mette capitali, evidentemente non è così in quella che potrebbe ritornare la terza economia globale.

Draghi questo lo sa. Non a caso per l’Italia ha prospettato appunto due ricette. Abbasso delle tasse e riduzione di spesa pubblica corrente. Il ministro dell’economia ha detto però che non si parlerà di riduzione delle imposte prima del 2008.

L’intenzione dell’esecutivo in questi due anni è agire sulle pensioni e sui rinnovi contrattuali. Tutto questo in direzione opposta a quanto ci sia di più utile per crescere. In Germania negli ultimi tre anni si è pensato al taglio del costo del lavoro e all’Iva. Da noi la priorità è rinnovare i contratti di pubblico impiego, ascoltando le resistenze dei sindacati sul veto alla contrattazione aziendale. Passo che comporterebbe un’aumento salariale non dovuto a leggi , ma alla produttività.

La sinistra massimalista pensa a come aggirare la riforma Maroni e lo scalino che essa comporta dal 2008. Su questo infatti il centro sinistra della maggioranza è più cauto, e il ministro Damiano ha esplicitamente detto che un’abolizione tout-court pare impossibile per mancanza di fondi.

Gira e rigira, mentre i mercati danno fiducia, gli U.S.A rallentano ma non si fermano, e i mercati asiatici sembrano tenere la domanda degli ultimi anni, da noi si pensa come al solito a galleggiare. Riforme radicali sarebbero opportune. E invece l’unica preoccupazione sono la politica ( con la p minuscola) e rinnovare, riesumare, e riprendere.

Il ri- sembra di rigore nell’esecutivo, dovuto forse al fatto che le cose già masticate sono più facili da portare termine e hanno un consenso più elevato.

Draghi parla quindi. Il Governo fa orecchio da mercante però.

venerdì, aprile 20, 2007

Berlusconi meglio di Bertinotti e degli U.S.A

Il cavaliere è stato accolto come il salvatore della patria. Dopo una demonizzazione continua durata 5 anni ora l’elite progressista del Paese si ricrede. Si scopre tutto ad un tratto Mediaset boys. Si scopre che è qualcosa di più di un’azienda del capo dell’opposizione italiana. In tutto ciò si registrano gli applausi ricevuti ai congressi di DS e DL dove il cav. ha partecipato come special guest, e come al solito ha ripagato i delegati con la sua straordinaria performance. “ Mi iscriverei anche io al PD”, ha detto ieri il Cav. dai DS.

Forse era vero quello che diceva sulla “ sinistra che lo demonizza”? Forse è vero che venendosi incontro alla fine i nodi si possono risolvere? Non lo sappiamo.

Sappiamo però che apparirebbe ridicolo che si tornasse al clima di odio pre-elezioni. La normalità della politica passa anche dal non gettare fango su chi la pensa in modo diverso.

Quindi, mentre la Telecom-story va avanti, i democratici sembrano aver scelto. Tra la sinistra antagonista e gli U.S.A loro scelgono Berlusconi.

L’analisi sarebbe lunga. Appare interessante però come Prodi-Fassino sulla legge elettorale siano in sintonia con FI e AN rispetto a tutti i partiti alla sua sinistra, e con Mastella che minaccia il “tutti a casa”.

Sul gossip finanziario invece il nulla osta del blocco DS-DL a Mediaset sembra un buon viatico per una legge sul conflitto d’interessi relativamente condivisa, e una legge Gentiloni non del tutto forcaiola.

Asse Berlusconi-Prodi quindi. Ci aggiungiamo mediatore D’Alema col benestare di Rutelli e Fassino.

Palla al centro quindi. Attendiamo sviluppi

venerdì, aprile 13, 2007

Il Diavolo in corpo

E cosi il milan è in semifinale. Chi se lo aspettava dopo un’estate così travagliata, che il vecchio Diavolo potesse arrivare quasi in fondo alla competizione più importante per club? Eppure il team di Ancelotti ha dimostrato ancora una volta che le partite vere, quelle che contano, quelle a cui pensi da due giorni prima, non le sbaglia mai.

Il caso ha voluto che si sia evitato il derby tutto italiano con la Roma. L’astuzia di Inzaghi ha fatto si che sulla strada dei rossoneri ci sia la squadra che gioca meglio in Europa. L’orgoglio di Seedorf ha fatto si che in queste semifinali di coppa ci sia almeno un po’ di quel calcio latino, fatto di geometrie e tattica, contro lo strapotere anglosassone fatto di cross e soldi.

Il Milan come gli ultimi quattro anni arriva in fondo quindi. In fondo dove è drammaticamente sfavorita per organico rispetto al Chelsea e allo United, ma paurosamente avanti in fatto di esperienza.

Il modello Anglosassone, figlio di paperoni russi e americani deve fare i conti quest’anno con Maldini e company. Forse basteranno i primi dieci minuti allo United per battere il Milan, come è successo alla Roma, o forse no. Ma sicuramente sarà una lotta fino all’ultimo minuto perché quando c’è di mezzo la Champions il Milan si trasforma.

E’ come una metamorfosi lenta un anno. Tutto ad un tratto esce da quella mediocrità che sfoggia nel campionato, e mette tutto quell’orgoglio che solo il Milan sa dare in partita. Una forza dirompente attraversa il cervello degli 11 che entrano in campo, una forza che esce quando sentono l’inno della champions, e mezza Italia si collega al mercoledì su sky sport 1. Una forza che torna normale quando alle 15 di domenica il Milan torna a calcare i campi nostrani. Una specie di Dottor Jeckill e Mister Hide che tanta magia lascia sui 65000 di S.Siro che ogni anno diventano leoni per una notte grazie alla prodezze di Kakà.

La forza del Milan sta nel gruppo. È un gruppo che aveva solo la Juve, prima che arrivasse Calciopoli. Un gruppo unito, che si chiude a testuggine quando le cose vanno male, e non si esalta alla prima vittoria. Insomma un gruppo umile. Un gruppo che incarna a dovere l’anima del suo allenatore. Una persona semplice, dal quel di Reggiolo, terra emiliana di gente che lavora, gente con i piedi per terra, concreta. E cosi il Milan. Un po’ la sua creatura. Tutti ricordiamo quando è venuto al Milan dopo due anni di secondi posti con la Juve. Dopo gli insulti e l’etichetta di perdente stampata sul volto. Invece è risorto Carletto. Una Champions e uno scudetto vinto. Un’altra champions persa ai rigori e un campionato l’anno scorso, finito a 89 punti dietro una squadra ridotta ormai a una favola del passato.

Il Milan ha la calma dei forti. L’astuzia di gente abituata a soffrire. La fortuna di chi sa che ogni tanto è inferiore sul campo ma superiore nella testa. Insomma, roba da professionisti.

Il calcio non è terra per aridi frombolieri, o meccanici schemi dai e vai. Il calcio è passione, stile, e questo old style rossonero ci piace. Questa umiltà a piccoli passi ci appassiona. Queste formiche operaie, che a piccoli passi ci avvicinano ad Atene, sanno che la strada è lunga. Davanti hanno Golia, che purtroppo è meno impastato e lento di quello biblico. I vari Rooney, i Ronaldo, i Giggs sono ostacoli alti, e forse sarà un revival dell’anno passato dove il Diavolo si è dovuto inchinare a chi era oggettivamente più forte. Ma sappiamo che il Milan se la gioca, perché se no non sarebbe il Milan.

il 24 Aprile saremo davanti alla tv. Curiosi di vedere come si comporterà la squadra più italiana d’italia ma che pensa non da italiana.

Questo è il paradosso di questo Milan. In campo contro il Bayern c’erano 7 italiani su 11 giocatori. Un’ernormità, se pensiamo all’Inter campione d’Italia, dove anche un campione del mondo come Grosso è lasciato in panchina. Questa sfida Inghilterra – Resto del Mondo è affascinante anche per questo, e pur non arrivando a dire che si rivedono le notti di Berlino, diciamo che l’orgoglio nazionale viene fuori.

S iamo fieri di vedere una squadra con ben 6 campioni del mondo che giocano. All’opposto la testa così poco dedicata al campionato, riesce a farci pensare che il Milan soffra in Italia. Che si senta stretta nella mura di casa.

Una squadra che forse si sente Internazionale, e che vuole fare concorrenza a una che lo è di nome, ma che fuori dalle Alpi appare così debole da pensare che sia uno scherzo.


martedì, aprile 03, 2007

Esordio col botto


"E' difficile dire dei no, porre dei paletti in ordine al bene quando viene a cadere un criterio oggettivo per giudicare il bene e il male, il vero e il falso. Se l'unico criterio diventa quello dell'opinione generale perché dire no, a forme di convivenza stabile alternative alla famiglia, ma domani alla legalizzazione dell'incesto o della pedofilia tra persone consenzienti?"

'Nel momento in cui si perde la concezione corretta autotrascendente della persona umana , non vi e' piu' un criterio di giudizio per valutare il bene e il male e quando viene a cadere un criterio oggettivo per giudicare il bene e il male, il vero e il falso, ma l'unico criterio o il criterio dominante e' il criterio dell'opinione generale, o dell'opinione pubblica, o delle maggioranze vestite di democrazia - ma che possono diventare ampiamente e gravemente antidemocratiche, o meglio violente - allora e' difficile dire dei no, e' difficile porre dei paletti in ordine al bene''.

''Perche' dire di no a varie forme di convivenza stabile giuridicamente, di diritto pubblico, riconosciute e quindi creare figure alternative alla famiglia? Perche' dire di no? Perche' dire di no all'incesto come in Inghilterra dove un fratello e sorella hanno figli, vivono insieme e si vogliono bene? Perche' dire di no al partito dei pedofili in Olanda se ci sono due liberta' che si incontrano? E via discorrendo, perche' poi bisogna avere in mente queste aberrazioni secondo il senso comune e che sono gia' presenti almeno come germogli iniziali''.

'Oggi ci scandalizziamo ma, a pensarci bene, se viene a cadere il criterio antropologico dell'etica che riguarda la natura umana, che e' anzitutto un dato di natura e non di cultura, e' difficile dire 'no'. Perche' dire no a questo a quello o a quell'altro. Se il criterio sommo del bene e del male e' la liberta' di ciascuno, come autodeterminazione, come scelta, allora se uno, due o piu' sono consenzienti, fanno quello che vogliono perche' non esiste piu' un criterio oggettivo sul piano morale e questo criterio riguarda non piu' l'uomo nella sua liberta' di scelta ma nel suo dato di natura''.

E pensare che c'era chi lo considerava un moderato...

Ruini docet

domenica, aprile 01, 2007

Asse saudita-israeliana contro Teheran

Il premier israeliano Olmert apre a tutti i Paesi Arabi per una soluzione sulla crisi israelo-palestinese. Non è la prima volta che notiamo un’apertura così diretta ai negoziati anche se fa sempre scalpore constatare come un piccolo Stato sia sempre al centro del dibattito geo-politico mondiale.

Israele ci prova. La bozza predisposta a Riad, nell’ultimo summit dove era presente la delegazione palestinese è uno stralcio di quello che è uscito dall’ultima riunione della lega araba dove sostanzialmente il tutto si è risolto con un nulla di fatto.

La proposta, interessante perché propone un riconoscimento dello Stato ebraico da parte di tutte le nazioni arabe in cambio di uno Stato palestinese sui confini del ’67, non ha, nella forma attuale, nessuna possibilità di decollare.
La Lega Araba non ha infatti introdotto il minimo accenno ad aperture o negoziati per modificare le parti del piano basate sul diritto al ritorno dei profughi palestinesi in Israele e sull’immutabilità dei confini del ’67. Questa versione è appunto quella originale del summit del 2002 dove ancora i sauditi si sono proposti mediatori e hanno avanzato una serie di punti da far approvare alle parti in causa.

Un revival dei confini al ’67 è inaccettabile da parte di Tel Aviv, e questo lo sanno anche i paesi arabi.

Israele sa anche che il rinvio senza decisioni sulla questione con la Siria per le alture del Golan, rappresenta lo scontro diplomatico tra i sauditi e il regime di Damasco, alauita, e deciso quest’ultimo ad accogliere le proposte di Teheran piuttosto che quelle di Re Abdullah.

Tra mille problemi e incomprensioni si riconosce comunque uno sforzo di Riad di tornare al centro della scena politica dopo una stagione di insulti e scontri sull’asse Israele-Libano-Iran. Il ruolo che in queste ore sta cementando nell’opinione pubblica Teheran preoccupa l’Arabia Saudita, che vede in questo braccio di ferro con l’UK, e in genere contro la comunità internazionale, un tentativo di accreditarsi come il possibile timone per una rivolta araba contro l’invasore occidentale e gli infedeli. Da qui nasce lo sforzo per una pace in Palestina, dove si è cercato di ricucire il rapporto con Hamas, ormai entrato nell’orbita di Teheran, e dall’altro lato di tentare di porre un freno, per ora abbastanza efficace, a un’escalation di guerra civile che continuava da mesi tra le fazioni di Al Fatah e Hamas. Il governo di unità nazionale in terra santa è frutto dell’intenso lavoro diplomatico di Riad, e parzialmente Israele ha visto di buon auspicio l’introduzione nell’esecutivo di uomini di Al Fatah, pur non riconoscendo la guida del primo ministro di Hamas. Il ruolo di primo piano saudita è ben condiviso dai paesi arabi che più di altri si battono per una pace nella regione e in particolare la Giordania, il Marocco e l’Egitto.

Nelle intenzioni di Riad c’è il fatto che risolta la questione palestinese si potrà pensare con più calma al Libano, all’Iraq, e perché no, trovare una soluzione sull’Iran. Da segnalare infatti sulla questione del nucleare, l’apertura della Lega Araba all’uso civile, cosa che di fatto ha aperto la partita all’energia nella regione, nel caso di completamento delle centrali da parte dell’Iran.

Il ruolo saudita quindi è un ruolo che vuole per forza di cose essere di primo piano, e anche per questo che pur aprendo, Olmert andrà in punta di piedi, perché a Tel Aviv conosco la capacità di ribaltamento delle questioni tra i paesi arabi, dovuta a tensioni interne, che troppe volte hanno fermato i negoziati.

Rimane il fatto però che l’appello indistinto a tutti i paesi arabi è indice di apertura tentando di andare oltre questi conflitti interni agli arabi, pur sapendo che le accoglienze saranno respinte a Teheran e a Damasco. Qualora però ci saranno eventuali sbocchi che vadano oltre la dialettica di merito si tratterà di vedere chi ci sta e chi non ci sta. In quel caso l’obbiettivo congiunto saudita-israeliano non può che essere quello di isolare completamente Teheran mettendo all’angolo una mina vagante che minaccia giorno dopo giorno gli equilibri in mediooriente.